E’ di questi giorni la notizia che un giovane imprenditore, Bassel Bakdounes, titolare di Velvet Media – società, con sede in Castelfranco Veneto (TV), specializzata nel social media marketing, con oltre 140 dipendenti – ha annunciato di aver introdotto all’interno della propria azienda, in via sperimentale, un nuovo modello di organizzazione del lavoro, che è stato dallo stesso denominato MYWAY Work.
Tale modello organizzativo prevede che i lavoratori – dopo aver condiviso con i propri responsabili degli obiettivi specifici da raggiungere nel periodo – siano completamente liberi di organizzare le modalità di svolgimento della propria attività lavorativa e quindi di stabilire dove, come, quando e quanto lavorare.
In altre parole, secondo tale sistema, i lavoratori possono decidere autonomamente se lavorare da casa, in ufficio o in altro luogo, in che momenti della giornata essere operativi, ma anche quando usufruire di ferie e permessi.
Non si tratta pertanto di uno schema riconducibile al concetto di smart working (tanto meno nell’accezione distorta che tutti abbiamo conosciuto durante il periodo emergenziale), né di remote working o di lavoro ibrido, ma di un primo concreto tentativo di superamento della nozione tradizionale di contratto di lavoro subordinato.
Nell’attuale assetto contrattuale si prevede infatti che il lavoratore si obblighi a mettere a disposizione la propria attività, per un dato tempo (stabilito dalla legge e dalla contrattazione collettiva), a favore di un imprenditore, e che quest’ultimo abbia la responsabilità di organizzarne la prestazione e l’obbligo di corrispondere la retribuzione.
Con questo nuovo modello si comincerebbe invece ad introdurre ed attuare un diverso schema contrattuale, in cui l’obbligazione del lavoratore sarebbe legata unicamente al risultato della propria attività, rendendo così non rilevanti le modalità di svolgimento della stessa (e quindi anche il luogo e la durata della prestazione).
Tuttavia, come peraltro ammesso dallo stesso ideatore del MYWAY Work, tale esperimento viene realizzato in una situazione di sostanziale vuoto normativo, nel senso che non sarebbe possibile – allo stato – stipulare dei nuovi contratti di lavoro subordinato che recepiscano validamente una tale impostazione e disciplina delle obbligazioni.
Infatti, le norme di legge che disciplinano l’orario di lavoro, le ferie ed i permessi (sulla base del modello tradizionale di contratto di lavoro), sono a tutti gli effetti norme inderogabili e quindi non modificabili, neppure con l’accordo delle parti del contratto.
Pertanto, nell’attesa di un intervento del Legislatore – peraltro da più parti ipotizzato ed auspicato – che possa lasciare spazio ad un’evoluzione del modello del contratto di lavoro nella direzione sopra individuata, l’unica soluzione per rendere oggi attuabili dei modelli organizzativi del tipo di quello ipotizzato da Velvet Media sarebbe quella di ricorrere alla stipulazione di accordi sindacali (anche a livello aziendale) ai sensi dell’art. 8 della L. 148/2011 (c.d. accordi di prossimità).
Tale norma prevede infatti che, per il raggiungimento di determinate finalità (fra cui la maggiore occupazione, la qualità dei contratti di lavoro, l’adozione di forme di partecipazione dei lavoratori, gli incrementi di competitività e di salario), sia possibile introdurre delle specifiche intese, anche in deroga alle previsioni contenute nelle leggi e nei contratti collettivi nazionali di lavoro, per la regolazione delle materie inerenti l’organizzazione del lavoro e della produzione e fra di esse, in particolare, quelle relative alle mansioni ed all’orario di lavoro.
Tuttavia, la stipulazione di tali accordi di prossimità presupporrebbe una vera e propria rivoluzione culturale, anche e soprattutto da parte delle organizzazioni sindacali, per la quale probabilmente i tempi non sono ancora maturi.
A cura dell’Avv. Angelo Quarto, Partner LabLaw.