“La distribuzione dei redditi all’interno del lavoro dipendente si è ulteriormente polarizzata, con una quota crescente di lavoratori che percepiscono un reddito da lavoro inferiore alla soglia di fruizione del reddito di cittadinanza“. Lo dichiara il presidente dell’Inps, Pasquale Tridico, presentando alla Camera il XXI Rapporto annuale dell’Istituto di previdenza. “Per la precisione – sottolinea Tridico – il 23% dei lavoratori guadagna meno di 780 euro al mese, considerando anche i part-time. Per contro, l’1% dei lavoratori meglio retribuiti ha visto un ulteriore aumento di un punto percentuale della loro quota sulla massa retributiva complessiva“.
“Senza il sostegno dello Stato redditi giù del 55%”
“In questo contesto emergenziale – prosegue il presidente Inps – l’intervento dello Stato ha dimostrato tutta la sua importanza nella distribuzione del rischio, nella difesa della coesione sociale e nella protezione dei più deboli“. Due, prosegue, “sono stati i principi di fondo: il principio universalistico, secondo il quale tutte le diverse categorie di cittadini dovevano ricevere sostegno dallo Stato, e il principio della tempestività, secondo il quale la risposta andava attivata in tempi brevissimi e modalità semplificate”.
“Le misure hanno in larghissima parte funzionato – osserva Tridico -, evitando che l’impatto sulla riduzione dei redditi a causa della crisi pandemica fosse del 55% maggiore. La crisi pandemica appare pressoché riassorbita in termini di partecipazione al mercato del lavoro, in particolare sul numero degli occupati, ma non ancora in termini di volume di ore lavorate, con conseguenze sfavorevoli sul piano delle retribuzioni complessive. Questa esperienza deve spingere a ripensare il contratto sociale che ha regolato finora la partecipazione alla vita economica degli italiani”.
“Riordino contratti e salario minimo per contenere diseguaglianze”
Per Tridico, “occorre intervenire più tempestivamente sulle contribuzioni correnti. Il Rapporto propone un esercizio di simulazione in cui sono state ricostruite le contribuzioni accumulate nei primi 15 anni di carriera lavorativa dalle generazioni nate tra il 1965 e il 1980, alle quali si applica esclusivamente il sistema contributivo. Una parte di loro non è riuscita a guadagnare retribuzioni superiori a quello che equivarrebbe oggi ad un salario minimo di 9 euro lordi orari. Se si introducesse un tale salario minimo, i loro profili contributivi si alzerebbero significativamente, in media del 10%. Anche questo esercizio dimostra che donne e giovani sono maggiormente colpiti da salari bassi“.
In Italia 3,3 milioni di beneficiari del Reddito di Cittadinanza
Nei primi tre mesi del 2022 i nuclei familiari beneficiari del reddito di cittadinanza sono stati pari a circa 1.5 milioni, con circa 3.3 milioni individui coinvolti. L’importo medio mensile erogato (a marzo 2022) è stato di 548 euro. È quanto emerge dal Rapporto annuale Inps 2022. Le caratteristiche dei nuclei beneficiari si sono ormai stabilizzate nel tempo (nonostante un graduale declino nella dimensione media dei nuclei familiari, passati da 2.45 componenti nel 2019 a 2.23 nel 2021), confermando che un terzo dei percettori è costituito da minori e anziani (over 65) e che, come evidenziato dal precedente rapporto, solo il 33% dei percettori in età lavorativa ha un riscontro amministrativo di partecipazione al mercato del lavoro negli anni 2018 o 2019.
Nonostante i percettori di RdC siano per la maggior parte assenti dal mercato del lavoro rimane di estrema attualità l’analisi del comportamento di coloro che svolgono o hanno svolto qualche attività lavorativa. Dall’esame dei dati relativi ai percettori in età lavorativa con undici o dodici mensilità percepite nell’anno 2021 risulta occupato il 20% degli individui con il 40% di nuclei familiari coinvolti. I nuclei con lavoratori hanno una dimensione media maggiore, ma un importo medio mensile minore. Rispetto alla collettività di riferimento (2 milioni di persone beneficiarie), emerge che il 26% di coloro che percepisce il beneficio nel Nord dell’Italia risulta essere anche lavoratore (46% se si considera solo il genere maschile); questa percentuale è pari al 36% quando si considera la popolazione degli stranieri extracomunitari percettori di RdC. Emerge anche che i percettori “stabili” di RdC che lavorano sono impiegati in prevalenza (quasi il 60%) con contratti a termine e a tempo parziale.
Il lavoro sommerso coinvolge 3milioni di persone
Il lavoro sommerso in Italia è circa il 12.5% del lavoro totale (ultima rilevazione del 2019). I lavoratori sommersi sono circa 3 milioni, emerge dal Rapporto annuale Inps. I lavoratori temporanei sono praticamente lo stesso numero. Il Pnrr richiede un rientro del 2% sul tasso di lavoro non regolare all’Italia, un ammontare sperimentato in Italia solo una volta negli ultimi 25 anni, a seguito della massiva regolarizzazione del 2001.
Meno di un padre su cinque chiede il congedo parentale
Per quel che riguarda i congedi parentali, nel periodo che va dal 2012 al 2021, si assiste a un’estensione della platea dei genitori beneficiari e una riduzione del numero di giorni fruiti all’anno per figlio. Si evidenzia, inoltre, una distribuzione fortemente diseguale del congedo parentale all’interno della coppia, con i padri che rappresentano solo circa il 19% dei richiedenti. Le analisi mostrano anche che l’allocazione dei compiti di cura all’interno delle coppie reagisce molto lentamente e di poco alle variazioni nelle condizioni economiche dei congedi parentali. Dal Rapporto annuale, spiega Tridico, emerge anche che “la percentuale di part-time è al 46% tra le donne, il dato più alto nella Ue, contro il 18% tra gli uomini, e una parte prevalente di questo part-time è considerato involontario”.
– Agenzia DiRE –