Dirigere un centro ippico o un allevamento, addestrare i cavalli, conoscere eventuali patologie, i principi dell’alimentazione equina, ma anche le leggi e i regolamenti del settore. Questo è il lavoro di tecnico equestre, un mestiere tecnico, non ancora riconosciuto a livello professionale, di cui ci ha raccontato meglio Franco Mosca, l’ex presidente del Cte, la Confederazione Tecnici Equestri e anche presidente del comitato della regione Piemonte Fitetrec Ante, la federazione italiana turismo equestre.
Un settore complesso – “La nostra figura non è riconosciuta a livello professionale, ma solo tecnico. Eppure ci sono ben tre diversi progetti di legge in atto con cui chiediamo che ci venga riconosciuto un albo”, mi spiega subito Mosca.
Il mondo dell’equitazione e dei tecnici equestri è molto complesso: tutto il settore è disciplinato dalle federazioni competenti, Fise – la federazione italiana sport equestri – e Fitetrec Ante. Esistono poi diverse associazioni, ovvero enti di promozione del Coni, il comitato olimpico nazionale, che fanno riferimento al ministero del turismo e dello spettacolo.
“I maestri di scii, per esempio – racconta Mosca – hanno un albo e il loro mestiere è riconosciuto da un punto di vista professionale. Noi, invece, non abbiamo questa garanzia: non c’è un percorso specifico e disciplinato per tutti. Così accade che in alcune scuole, per mancanza di docenti preparati, gli allievi si ritrovino a usare cavalli non adatti, con il rischio di farsi male, spaventarsi e non provare mai più a montare. Noi lavoriamo con i cavalli, che sono animali: non è proprio come andare in bicicletta”.
Il percorso corretto – “Se si vuole iniziare una carriera in questo settore è necessario rivolgersi a una delle due principali federazioni, la Fise e la Fitetrec Ante, che sono diretta emanazione del Coni e rispettano alti standard qualitativi. È inutile rivolgersi a delle scuole, magari anche molto costose, che promettono corsi di qualche weekend per diventare tecnici: dico sempre che la nostra professione dà una ‘licenza di uccidere’, nel senso che se non si sta davvero attenti, si rischia di farsi del male. Si sottovaluta sempre questo aspetto, affidandosi troppo all’incoscienza”.
Una volta contattata una federazione ed essersi tesserati, s’inizia il percorso vero e proprio di formazione, grazie al quale si possono conseguire diversi brevetti, che certificano il livello di competenza tecnica. “Bisogna essere maggiorenni e prima di allora bisogna comunque aver svolto un percorso agonistico, avere cioè la cosiddetta ‘patente’ che dimostri i livelli raggiunti”.
Diversi livelli e diverse specialità – Ci sono tecnici equestri di differenti livelli, a seconda della scala riconosciuta a livello internazionale: a un primo grado si lavora sotto l’egida di un superiore e si è addetti solo alla ‘messa in sella’; si passa poi al secondo livello che da la possibilità di gestione di un centro ippico; infine, il terzo livello è quello degli insegnanti.
I corsi di formazione variano a seconda della propria specialità di appartenenza: ci sono le discipline olimpiche – salto a ostacoli, completo e dressage – e quelle non olimpiche, come endurance, reining (monta all’americana, ndr), cross e monta da lavoro. Le due federazioni si occupano ognuna di discipline diverse e utilizzano differenti metodi d’insegnamento. “Oggi la Fise – spiega Mosca – propone un piano di studi a crediti formativi, con una frequenza obbligatoria, legata a singoli moduli, ed esami di sbarramento per ogni livello. La Fitetrec Ante, invece, ha un percorso a ore”.
Il passato dell’equitazione – “Una volta chi vantava questo tipo di formazione, aveva generalmente seguito un percorso militare: in Italia la borghesia, a differenza di quello che accadeva in alcuni paesi anglosassoni, non andava a cavallo. Per questo oggi tutti gli istruttori più anziani sono marescialli o carabinieri. Invece, poi, a partire dagli anni ’80, questa disciplina ha conosciuto un boom senza precedenti: è diventato ‘di moda’ frequentare maneggi e corsi d’equitazione. Molti si sono improvvisati istruttori e la qualità dell’insegnamento, così come quella dei risultati, è notevolmente calata”.
La situazione all’estero è molto differente: “In Francia, per esempio – spiega Mosca -, per diventare istruttore devi aver frequentato il liceo agricolo e devi aver completato un percorso di studi universitari di tre anni, simile al nostro Isef”.
Consigli dell’esperto – “Per gli appassionati, questo è un lavoro bellissimo, anche se di grande sacrificio. Mia figlia ha appena iniziato il corso per diventare insegnante, ma le ho sempre ribadito il mio pensiero: i cavalli non conoscono orari, se il tuo animale sta male, tu devi passare anche tutta la notte con lui. Non bisogna correre, né cercare scorciatoie, ma fare un percorso serio di studi e formazione”.
Per saperne di più – www.fise.it; www.fitetrec-ante.it.