Provate a digitare la parola south working su Google e vedrete che il motore di ricerca vi restituirà diversi risultati anche se mancherà la definizione di Wikipedia come primo risultato o risultato zero (quello che di solito è riquadrato in alto). Cosa significa? Che lavorare in smart working dal Sud è qualcosa che sta cominciando a fare tendenza e di cui si parla, ma che ancora non è entrata così a pieno titolo da essere citata nella più famosa enciclopedia online.
Anche perché solo fino a 4 mesi fa era quasi impensabile credere che ci potesse essere gente che, per lavoro e pur essendo assunto da una qualsiasi azienda del Nord, pensasse di spostarsi direttamente al Sud, in quella che può essere considerata quasi un’inversione di tendenza. Ma, come sappiamo, il Covid 19 ha sparigliato le carte e ha portato a cose e situazioni che non avremmo neanche immaginato.
Ci ha pensato però Elena Militello, anni 27, voce squillante di chi è mossa da quella passione che dà chiarezza ai progetti e che, con il suo contratto di ricercatrice nell’Università del Lussemburgo, si è ritrovata nei mesi più bui di quest’anno a lavorare dalla sua terra, la Sicilia. È così che le è venuto in mente di creare un progetto che ponesse l’accento sul lavorare in modo agile dal Sud dal titolo appunto “South Working – Lavorare dal Sud” che fa parte di Global Shapers – Palermo Hub, iniziativa del World Economic Forum.
È con lei e con Mario Mirabile, che si occupa invece di politiche urbane (26 anni, anche lui emigrato di ritorno a Palermo come Elena) che abbiamo parlato via Google Meet (il lockdown ci ha cambiati anche in questo) per capire in cosa consiste questo progetto che vede insieme non solo loro due ma in totale 20 persone, tutte “giramondo”.
Iniziamo con le parole che, come diceva Nanni Moretti in “Palombella rossa” sono importanti. Si deve a voi la terminologia di south working o c’era già? E com’è nata un’idea simile?
Mario: A dire il vero, possiamo dire siamo stati noi a coniare questo termine, a meno che non ci sia qualcuno che l’abbia fatto prima di marzo, ma non ci risulta (sorridono, ndr). Abbiamo lanciato tutto intorno tra fine marzo e i primi di aprile e pian piano abbiamo cominciato a costruire il progetto pensando gli stakeholders e a chi poteva essere interessato a questa idea.
Elena: Quanto a come è nato il progetto, stavo tornando a Palermo dal Lussemburgo e dopo avere passato delle settimane a casa, mi sono resa conto che riuscivo a gestire il gruppo di lavoro tranquillamente da casa e così ho pensato di coinvolgere degli amici, tra cui Mario. ‘Perché non creiamo un movimento di idee su questo tema?’ ho proposto e da qui abbiamo pensato di analizzare i pro e i contro del lavoro agile dal Sud. Però lo precisiamo: non vogliamo fare una battaglia a favore del ritorno al Sud contro il Nord, ma vogliamo concentrare le nostre analisi interne e inserirci sul dibattito sullo smart working dal Sud per fare delle proposte che possano essere puntuali e scientifiche. Né vogliamo assecondare una moda del momento.
Ci chiarite dunque meglio in cosa consiste il progetto e come vi state muovendo?
Mario: Dobbiamo dire innanzitutto che da 70 anni c’è un problema legato all’esodo dalla Sicilia così come da altre regioni del meridione che sono in recessione e la pandemia, con il distanziamento fisico e il telelavoro emergenziale, ha fatto indubbiamente emergere la necessità di un ragionamento più strutturato in relazione al lavoro agile.
Elena: Non stiamo parlando di maggiore ricchezza per il Sud e minore per il Nord anche perché il concetto sud è relativo, siamo sempre il Sud di qualcun altro. Così come stiamo proponendo un progetto che sia scalabile, non solo far riflettere sulla possibilità di lavorare dal Sud Italia, ma dal sud di qualsiasi parte del mondo. Milano, per esempio, è il sud di Bruxelles. Quello che vogliamo fare è aiutare le persone che vogliono intraprendere una modalità di lavoro simile, ossia tornare nella propria terra d’origine per un periodo più o meno lungo e rendere questo progetto fattibile. Sposiamo infatti la coesione sociale e vogliamo lavorare per dare il nostro contributo a una rielaborazione della geografia nazionale che può aiutare a decongestionare le città del Nord Italia per contravvenire alle differenze.
Quali sono le fasi del progetto? E quali i vostri obiettivi?
Entrambi: In questo momento siamo in una fase di raccolta dati, abbiamo lanciato un questionario per comprendere quali siano le caratteristiche della platea dei potenziali interessati al progetto South Working. Finora hanno risposto 1100 persone, un po’ da tutta la penisola anche se la maggior parte si concentra in Sicilia perché il progetto pilota ha come città Palermo (la nostra) e Milano che è la città lavorativa per eccellenza In Italia. In autunno renderemo pubblici i dati, in collaborazione con lo Svimez, ma possiamo anticipare che la maggioranza delle persone che ha risposto è molto qualificata, con una laurea magistrale un master di secondo livello o un dottorato e ha un’età tra i 25 e i 40 anni, con punte tra i 35 e 40. Abbiamo diffuso il questionario tramite i social, la stampa, stiamo contattando anche le istituzioni e il collaborare con lo Svimez è per noi molto importante.
Stiamo procedendo in questo modo, lungo 3 assi che non sono 3 fasi ma è come se fossero le 3 colonne portanti del progetto e la nostra carta dei valori fosse il cosiddetto frontone. Infatti a fare da base a tutto c’è la carta del South Working che è appunto la cosiddetta premessa e che costituisce tutti i valori e i principi che ci sono alla base di questo progetto: ragionamento sulle peculiarità dei diversi territori, le condizioni di lavoro, dei lavoratori e tanto altro.
I 3 assi del progetto sono poi l’Osservatorio South Working che stiamo creando in base ai dati che stiamo raccogliendo, la creazione di un database insieme alle aziende e la creazione di una rete con vari coworking. Quanto al secondo, ossia il database, stiamo lavorando per creare una piattaforma che raccolga lavoratori e aziende remote friendly che vogliano ragionare su questi temi e per mettere tutti questi attori in contatto. Aziende, attenzione, che abbiano una presenza in Italia mentre i lavoratori possono provenire da tutto il mondo. Abbiamo individuato un target di aziende con cui si può discutere che contatteremo a settembre: ci sono sia aziende grandi che abbiano già propensione per il lavoro a obiettivi, ma anche che, in ottica di CSR (Corporate Social Responsability, ndr) possano dare il loro contributo per affrontare il divario tra Nord e Sud, e siano capaci di attrarre talenti da tutto il mondo.
E per quanto riguarda il terzo punto: la creazione della rete con i vari coworking, come vi state muovendo?
Questo passaggio per noi è fondamentale perché lo smart working e l’home working pongono il problema della mancanza di relazioni fisiche con gli altri. Inoltre, sappiamo, grazie ai vari studi disponibili sullo smart working, che questo potrebbe accentuare le diseguaglianze tra lavoratori qualificate e chi non lo è, così come potrebbe mettere a rischio la creatività stessa. Dove nascono le idee migliori? Alla macchinetta del caffè. Ecco perché nel nostro progetto sono importanti i coworking che sono luogo di collaborazione, pertanto ideali per stimolare un dialogo che possa andare questa direzione. Le aziende stanno valutando di spostare interi gruppi di lavoratori, noi li seguiremo anche negli ecosistemi dove andranno, non solo mettendoli in collaborazione con l’ecosistema lavorativo, ma anche con l’ecosistema della città che non deve essere assolutamente trascurato. In questo progetto è importante favorire momenti di incontro e networking per far dialogare i soggetti con l’esterno. La piattaforma di cui parlavamo prima dovrebbe avere carattere mutualistico in modo che chiunque ne faccia parte possa ottenere valore già grazie al fatto stesso di farne parte. Ci auguriamo in tal senso che il coworking possa diventare un vero presidio di comunità, ossia uno di quei luoghi in cui si partecipa alla vita della comunità. Un posto dove non solo si lavora ma che possa avere asili, biblioteche ecc… ovvio che bisogna valutare singole soluzioni per singoli coworking.
Nessuna questione politica o sociologica tra Nord e Sud? Sia durante il lockdown che in queste ultime settimane – anche per la dichiarazione di Beppe Sala sulla necessità che un impiegato comunale di Milano abbia uno stipendio diverso da uno di Reggio Calabria – si è parlato molto di questi temi. Il vostro progetto come si inserisce in tutto questo?
Mario: A noi interessa proporre soluzioni in maniera organica, analizzando anche le contraddizioni interne. Siamo parte del più ampio dibattito pubblico, siamo felici che si parli di diritti del lavoratore, ma anche alti standard di produttività. Non vogliamo entrare nel dibattito politico. La politica, a mio avviso, è ontologicamente conflittuale mentre i progetti di carattere sociale tendono a unire. Peraltro, come sappiamo, Milano da molto tempo vive dei fenomeni legati alla sua capacità di attrazione che alcune zone del Meridione non hanno, noi ci proponiamo di mitigare questi effetti, avviando allo stesso tempo un dialogo e cercando di costruire delle proposte di lungo periodo per un immaginare un futuro più sostenibile della città. In questa complessità ci sentiamo di dire che alcune cose cambieranno, altre no, in questo contesto una visione diversa e nuova delle città deve tenere in considerazione una nuova geografia del lavoro e come facciamo esperienza del lavoro.
Elena: La scalabilità del progetto di cui parlavo prima permetterebbe a Milano di essere attrattiva per chi se n’è andata dall’Italia. Anche da questo punto di vista abbiamo immaginato che nella visione del progetto non ci sia uno svantaggio per nessuno. Inoltre, vorremmo avviare una valutazione caso per caso del singolo lavoratore, puntando sul fatto che lo smart working non sia il fine ma solo il mezzo. Ci hanno scritto anche persone del nord che vogliono tornare in una zona rurale e questo è da tenere in considerazione.
Ultima domanda: come la mettiamo con le infrastrutture che al Sud sono scarse, i mezzi pubblici spesso assenti, una connessione a Internet che in alcune zone è davvero inefficace e tanto altro?
Insieme: Per le infrastrutture è fondamentale che ci siano e che funzionino bene però noi non siamo i soggetti che possono risolvere il problema, siamo quelli che possano accendere il dibattito. E far capire che gli aeroporti, i collegamenti non devono essere legati esclusivamente ai flussi turistici perché, se come sta succedendo, il turismo di massa collassa, viene meno un sistema di valori, l’economia stessa. Invece dobbiamo portare valore e solidità all’economia urbana, in tutti i periodi dell’anno. Con il progetto South Working – Lavorare dal Sud ci vogliamo porre come partecipanti o come stimolatori di un dibattito per una massa critica che analizzi tutto nel merito interpretando i dati, ma analizzando i pro e i contro osservando le contraddizioni nella loro interezza. Si potrebbe anche partire dall’idea di migliorare prima l’economia e poi i servizi e le infrastrutture, anche perché il lavoratore che si sposta, da quello che percepiamo, ha tutta l’intenzione di dare il suo contribuito per rendere migliore il posto in cui vive. E spostare un lavoratore singolo che già lo vuole fare, come ci ha dimostrato questa pandemia, può essere molto più agevole dello spostare un’intera azienda.