Lo smart working aiuta a diminuire gli infortuni in itinere ma apre a nuovi rischi per la salute dei lavoratori. Se da una parte la pandemia ha cambiato l’approccio alla prevenzione – più “sostanziale” e condiviso tra aziende e lavoratori – dall’altra ha introdotto nuovi modelli organizzativi che espongono il lavoratore a nuove criticità, fisiche e psicologiche. A sottolineare il doppio livello dell’impatto dell’emergenza sanitaria sulla sicurezza sul lavoro è l’indagine della Fondazione Studi Consulenti del Lavoro “Salute e sicurezza sul lavoro nella pandemia: nuovi rischi e prospettive di evoluzione dei modelli di gestione” che sarà illustrata domani, 20 maggio 2021, durante il Forum Annuale della Sicurezza sul Lavoro, in diretta streaming sul sito www.consulentidellavoro.it.
Il bilancio degli infortuni durante il 2020 segna inconfutabilmente un’inversione di tendenza rispetto al numero degli infortuni in itinere sul totale complessivo (100mila denunce nel 2019, poco più di 62mila nel 2020) e soprattutto dell’incidenza di questa voce sul totale in termini di mortalità sul lavoro (28,1% nel 2019, 16,8% nel 2020) dopo anni di crescita. In particolare tra le donne, per cui sul totale delle morti per infortunio sul lavoro, il 51% era ascrivibile a questa casistica. Effetto diretto del ricorso al lavoro agile, che, però, si presenta al rendiconto del primo anno con il suo carico di punti interrogativi rispetto alla possibilità effettiva di garantire la sicurezza e la salute dei lavoratori. Davanti agli smart workers, infatti, si ampliano i margini di rischio potenzialmente legati a un ambiente di lavoro che può variare nel tempo – il 27% dei lavoratori agili ha lavorato nell’ultimo anno in luoghi diversi dalla propria abitazione, anche per lunghi periodi –, che non rispetti le normative minime di sicurezza impiantistica (elettrica, antincendio) o che non presenti ambienti e attrezzature adeguate. Il 48,3% degli smart workers già lamenta disturbi e problemi fisici legati all’inadeguatezza delle postazioni domestiche; problematiche a cui si aggiungono elementi di possibile disagio del lavoro da remoto come l’aumento dello stress, collegato ai tempi di lavoro dilatati e dall’ansia da prestazione (49,7%), dall’indebolimento delle relazioni aziendali (49,7%), dalla paura di marginalizzazione (47%) e dalla disaffezione verso il lavoro (39,9%).
“È evidente la necessità di un cambio di paradigma nell’affrontare i temi connessi alla sicurezza sul lavoro, anche in considerazione della capillarità della diffusione dei nuovi modelli organizzativi che interessano tanto la piccola che la grande impresa” afferma Rosario De Luca, Presidente della Fondazione Studi. Che aggiunge: “L’ultimo anno ha dimostrato che la sicurezza, prima che un adempimento, è un valore su cui investire, anche in tema di formazione. A tutti i livelli e per tutte le professionalità”.