Dov’è il nodo? Ci sono in Italia centinaia di migliaia di lavoratori che ricevono dalle aziende in cui lavorano il buono pasto. Non si tratta di un diritto dei lavoratori ma di un benefit che liberamente o con accordo sindacale l’azienda riconosce ai propri dipendenti. Fin qui niente di strano. I dipendenti ai quali è riconosciuto il buono pasto, tuttavia, hanno il diritto di goderne sia in modalità di lavoro tradizionale, sia in smart working, salvo accordo sindacale che dica il contrario. Quindi, in assenza di questo accordo, chi oggi lavora in smart working, e aveva già diritto al buono pasto quando era in azienda, conserva questo benefit anche lavorando a casa, (come avevamo già scritto in precedenza parlando di pasticcio). Ma è proprio qui che nasce il problema. Diverse aziende in modo unilaterale dal momento in cui è intervento il Dpcm del Governo Conte che ha spinto il ricorso al lavoro agile per gestire l’emergenza Covid 19 e rivedendo la norma, hanno sospeso il buono pasto. Queste aziende probabilmente hanno commesso un arbitrio.
Sulla vicenda è intervenuta l’onorevole Elena Murelli, deputata della Lega e componente della Commissione lavoro della Camera che, insieme ad altri parlamentari, ha scritto un’interrogazione al Ministro del Lavoro Catalfo per chiedere lumi sulla questione sollecitando un intervento formale del Ministro. “Il decreto del Presidente del Consiglio del 26 aprile scorso – spiega la Murelli– raccomanda che negli ambienti di lavoro sia attuato il massimo ricorso alla modalità di lavoro agile per quelle attività che chiaramente possono essere svolte a distanza. La norma del 2017 che disciplina il lavoro da remoto dice testualmente che il lavoratore che svolge la prestazione di lavoro in smart working ha diritto ad un trattamento economico e normativo non inferiore ai lavoratori che svolgono le medesime mansioni esclusivamente all’interno dell’azienda”. In soldoni, il lavoro agile è solo una diversa modalità di svolgere il proprio lavoro ma che non prevede minimamente trattamenti economici e normativi differenti rispetto al lavoro in azienda. Quindi il buono pasto è un benefit che se è riconosciuto in azienda deve esserlo anche nel lavoro da remoto.
“Non solo – aggiunge Murelli– ma il buono pasto può essere usato dal lavoratore titolare anche per fare la spesa presso negozi e supermercati convenzionati. Soprattutto in questa fase di grandi difficoltà economica è quindi una forma di sostegno al reddito delle persone che non andrebbero penalizzate”. Il Ministro Catalfo ha risposto all’interrogazione il 6 maggio scorso sottolineando l’importanza del ricorso al lavoro agile ribadendo che “la promozione dello smart working, in particolare nella Pubblica Amministrazione, deve essere percepita non solo come misura volta al benessere del lavoratore e della sua famiglia nell’ottica della conciliazione dei tempi di vita-lavoro ma anche come modello amministrativo avanzato e utile allo Stato”. E sulla questione del buono pasto – aggiunge il Ministro del lavoro – ricordo che con una recente circolare è stato ribadito espressamente che le amministrazioni pubbliche sono chiamate, nel rispetto della disciplina normativa e contrattuale, a definire anche gli aspetti di riflesso sui buoni pasto, procedendo a tale scopo ad un confronto con le organizzazioni sindacali”. La questione, tuttavia, riguarda soprattutto il settore privato mentre la replica del ministro all’interrogazione si è focalizzata esclusivamente sul lavoro nella Pubblica Amministrazione. “In questo senso – replica Murelli – attediamo una risposta complessiva da parte del Ministro che faccia chiarezza anche per i lavoratori delle aziende del privato, oggi in parte penalizzati, attraverso una nuova circolare o altro intervento formale che chiarisca definitivamente la questione. In tutto questo, poi, non capisco il silenzio dei sindacati”.