Quali sono le professioni più a rischio sicurezza sul lavoro e quali tipi d’indumenti dovrebbero usare per la loro incolumità questi lavoratori? L’abbiamo chiesto a Carlo Maria Rossin, proprietario di Indutex, azienda milanese che produce abiti usa e getta per la sicurezza: dalle tute per la protezione nucleare a quelle per la sicurezza biologia e chimica (del loro lavoro vi abbiamo già parlato: leggi qui).
Oggi, però, vorremmo capire quali sono le problematiche legate alla scelta degli indumenti da utilizzare, quali caratteristiche devono avere, e cosa succede se questi indumenti non sono a norma, come spesso accade a quelli importati da paesi esteri (vedi nostro articolo).
Punto di partenza – “Il discorso che riguarda le professioni a rischio – mi spiega Rossin – va a mio parere iniziato definendo cos’è il rischio e qual è la differenza tra rischio e pericolo. Sembra banale ma è la base per tutte le riflessioni, soprattutto per la scelta di cosa indossare o di come intervenire”. Normalmente, infatti, si parte dal concetto di pericolo, ossia dalla proprietà intrinseca di un agente chimico, biologico, strutturale di recare danno al lavoratore. “Ad esempio – continua il proprietario Indutex – è risaputo che l’acido muriatico sia corrosivo oppure che l’inalazione di fibre di amianto sia la causa di mesotelioma polmonare e così via”.
Una volta quindi identificato che il nostro ambiente di lavoro contiene fonti di pericolo l’attenzione si deve spostare su quanto frequentemente i lavoratori possono essere esposti a quell’agente dannoso e per quanto tempo. Questo è il concetto di rischio.
Messa in sicurezze – Nel mondo delle professioni meno sicure per la salute del lavoro, esposizione significa rischio: “Le norme impongono che il datore di lavoro debba strutturare il proprio posto di lavoro minimizzando il rischio, per cui dovrà impedire o limitare l’esposizione dei lavoratori. Qualora questa opzione fosse impraticabile, perché magari la fonte di pericolo è parte integrante di un processo produttivo che prevede la presenza di personale, ecco che il datore di lavoro dovrà allora prevedere l’adozione di dispositivi di protezione individuale idonei ed adeguati, atti cioè alla reale protezione del lavoratore durante la fase di rischio. Bisogna perciò tenere conto sia del pericolo in se’, sia della frequenza e intensità dell’esposizione”.
Il caso – Un esempio pratico di non rispetto di queste prescrizioni si può sfortunatamente rintracciare nell’incidente Thyssen a Torino. Quando nella notte fra il 5 e il 6 dicembre di sei anni fa, sette operai dello stabilimento di Torino dell’azienda siderurgica tedesca morirono investiti da una fuoriuscita di olio bollente in pressione che aveva preso fuoco.
“Nonostante si sapesse del pericolo – commenta Rossin – non si è schermato a sufficienza il luogo di lavoro con delle barriere strutturali per la riduzione del rischio e i lavoratori sono rimasti esposti senza l’ausilio d’indumenti idonei e adeguati”.
Professioni a rischio – A fare attenzione a questi importanti accorgimenti dovrebbero essere per esempio gli imprenditori che hanno dipendenti che operano nell’accesso a silos, vasche e fosse biologiche, collettori fognari, depuratori e serbatoi utilizzati per lo stoccaggio e il trasporto di sostanze pericolose, ma anche lavoratori dei cantieri edili e addetti a operazioni di bonifica e smaltimento dell’amianto. E ancora gli ospedali, dove oltre alla sicurezza del paziente è importante tutelare il personale.
Poche norme – Rossin ci spiega però che al momento non esiste una guida precisa per la selezione degli indumenti idonei da utilizzare, perché molto dipende dalle singole situazioni. Insomma, tutto dipende dall’analisi che viene fatta del concetto di rischio. “In seno alla comunità europea – spiega il patron Indutex – si sta lavorando a una linea guida (denominata ‘Selection, Use, Care and Maintenance guideline’, ndr), alla quale sto personalmente partecipando per la parte Selection, che si prefigge di aiutare i responsabili della sicurezza nella selezione degli indumenti ideali per la protezione chimica”.
Come muoversi – Come si può in questo momento scegliere senza sbagliare? “Bisogna partire dal presupposto che le norme di prodotto identificano la tipologia di rischio con cui ci si imbatte come particelle, aerosol liquidi, getti di liquido, vapori, gas. Ma questi non devono essere presi come l’unico metro di scelta: per esempio, ci sono polveri pericolose per cui va bene un certo tipo di tuta di protezione rispetto al grado di tossicità del prodotto, ma poi non si può evitare di analizzare la concentrazione della polvere, valutare la possibilità che, se di piccole dimensioni, la polvere possa passare attraverso le cuciture della tuta. Allora, per via delle piccole particelle, in questo caso non basterà più una tuta, ma ci si dovrà orientare su qualcosa di più complesso come uno scafandro in sovrappressione con cuciture saldate o ricoperte, quindi tutto un altro tipo d’indumento”.
Pericoli – Si tratta di un’analisi che si può ben applicare a tutte le tipologie di rischio e per tutti gli indumenti. “Oggi – conclude Rossin – il grosso del mercato richiede la classica ‘tuta bianca cucita’ che però sempre più spesso viene comprata seguendo la marca di moda del momento o il prezzo particolarmente allettante, senza prendere in considerazione l’aspetto della reale capacità di protezione dei materiali scelti”.