La carenza di infermieri, così come quella di medici e personale in genere della sanità, è un’emergenza nota da tempo. A rilevarlo è l’ampio studio presentato al Senato, realizzato da 12 aziende ospedaliere pediatriche aderenti all’Aopi, l’Associazione degli Ospedali pediatrici Italiani che aderisce alla Fiaso, la Federazione delle aziende sanitarie pubbliche.
Le criticità dovute alla carenza di personale. Punto critico di partenza è il rapporto tra il numero di pazienti e di infermieri in reparto. Secondo gli standard di sicurezza, ogni infermiere dovrebbe seguire 4 pazienti mentre la media negli ospedali pediatrici è di 1 infermiere a 6,6 pazienti, 2,6 pazienti in più rispetto al previsto. Con questi livelli di staffing non è poi facile ottemperare a tutte le attività. Su 13 funzioni assistenziali giudicate necessarie sono state 5 in media quelle che ciascun professionista ha dichiarato di aver dovuto tralasciare per mancanza di tempo nell’ultimo turno. E la carenza di personale in genere finisce anche per dover impegnare i già pochi infermieri in attività che infermieristiche non sono. Dover seguire molti pazienti, inoltre, può anche essere stressante, infatti, nei 12 ospedali pediatrici il 32% degli infermieri è finito nell’area del “burnout”, la sindrome da esaurimento emozionale che colpisce chi per professione si occupa delle persone.
I punti di forza di una buona organizzazione. Nonostante ciò si ritiene soddisfatto del proprio lavoro il 73,5% degli infermieri dell’area chirurgica e rispettivamente il 74 e il 77,1% di quelle medica e critica. Questo grazie a un ambiente lavorativo che l’indagine definisce “favorevole”, dopo l’attento esame di cinque fattori lavorativi: 1) appropriatezza dello staffing e delle risorse, 2) rapporto medico-infermiere, 3) capacità di leadership del coordinatore infermieristico, 4) presupposti per la qualità dell’assistenza infermieristica, 5) coinvolgimento degli infermieri nell’organizzazione aziendale. “Il Servizio sanitario nazionale senza professionisti e management all’altezza, impegnati in un’assistenza di qualità e nella sicurezza delle cure, sarebbe al collasso. È bene che i decisori politici guardino con attenzione il rovescio della medaglia, quello cioè che accadrebbe senza la buona volontà di chi gestisce e offre assistenza, se non si metteranno davvero in campo questi cambiamenti”. Così Barbara Mangiacavalli, presidente della Federazione nazionale degli Ordini delle professioni infermieristiche (FNOPI), commenta lo studio, ribadendo che è la volontà dei professionisti e la capacità manageriale delle aziende che finora ha garantito qualità e sicurezza, ma sottolineando che non per questo devono sfuggire i rischi che si corrono senza un cambio di passo nel sistema.
Area pediatrica. Gli infermieri in area pediatrica hanno in media circa 2,6 assistiti in più di quelli che sarebbero i numeri ottimali: se con ogni paziente extra il rischio di mortalità a 30 giorni aumenta del 7%, con due pazienti e mezzo in più, il rischio di mortalità cresce del 17-18%. Ma non è tutto. Per il 10% di attività infermieristiche mancate, infatti, il rischio di mortalità cresce del 16%, sempre a 30 giorni dal ricovero dei piccoli pazienti: la media rilevata dallo studio in Italia è di circa il 5%, che si traduce in un rischio di mortalità dell’8% in più. “Sommati, i due dati portano a un aumento del rischio di mortalità del 25-26%, inaccettabile se legato a queste cause. E soprattutto perché per di più si parla di bambini”, commenta ancora Mangiacavalli che aggiunge: “Sono dati che grazie alla buona volontà dei professionisti e alla capacità del management delle aziende non si sono realizzati, ma il livello di allarme è alto e di questo si deve tenere conto in modo determinante al momento della scelta delle politiche di programmazione. La Federazione – continua Mangiacavalli – ha evidenziato che rispetto alla domanda dei cittadini ci sono circa 30.000 infermieri in meno che diventeranno 58.000 in meno nel 2023; circa 71.000 in meno nel 2028 e quasi 90.000 in meno nel 2033. Se poi a questi dati si aggiunge che secondo lo studio Aopi il 25% circa degli infermieri delle pediatrie sono insoddisfatti del proprio lavoro e lascerebbero, se potessero, l’impiego nell’ospedale nel giro di un anno, l’allarme diventa un vero e proprio allarme rosso. E ancora se a questo si aggiunge che sempre lo studio ha verificato un burnout infermieristico che sfiora il 20%, il quadro della situazione è davvero a rischio di naufragio evitato finora solo, come sottolinea il presidente Aopi e Dg del Gaslini Paolo Petralia, dalla buona organizzazione aziendale che ha fatto fronte alle carenze di personale e ha permesso di garantire comunque una buona qualità delle cure e la messa in sicurezza dei pazienti”.
“Mancano tanti professionisti – conclude Mangiacavalli – e come dimostra lo studio a mancare in modo allarmante sono gli infermieri. Quei professionisti cioè che prendono in carico il malato dopo qualunque intervento abbia subìto e fino alle sue dimissioni. Quei professionisti che hanno il compito di seguirlo in ospedale come a domicilio per assicurare che si curi, lo faccia bene e non abbia complicazioni e se queste dovessero subentrare, a casa come in ospedale, far scattare il giusto allarme con tutti gli interventi che, come dimostrano i dati, sono anche salvavita”.
“I risultati dell’indagine, pur focalizzati su un aspetto particolare e delicato dell’assistenza com’è quella rivolta ai più piccoli, mostrano ancora una volta che senza il contributo fondamentale dei professionisti e di un management all’altezza il nostro Ssn sarebbe già naufragato da un pezzo”, rilancia il Presidente di Fiaso, Francesco Ripa di Meana. “Abbiamo fatto un miracolo operando tra ristrettezze economiche e di personale. Ora -conclude– occorre cambiare passo, dando priorità a un grande piano per le assunzioni e per l’ammodernamento tecnologico delle strutture”.