Poche offerte, molti candidati, le selezioni sono diventate più insidiose ma anche più umane: si scava nel profondo esplorando la personalità e le attitudini profonde, con uno spirito da ‘talent scout’. Ecco quello che hanno scoperto da Great place to work, l’azienda che da più di vent’anni studia la qualità degli ambienti organizzativi, di cui vi abbiamo già parlato in un altro articolo.
Karaoke al lavoro – “Cantaci una canzone”. Potrebbe essere proprio questa la prima richiesta a un colloquio di lavoro. Secondo un’indagine effettuata da Great Place to work, infatti, le classiche domande da manuale come “le piacerebbe lavorare per noi?”, o ancora, “cosa vuole fare da grande?”, sono state sostituite con quesiti meno banali e più ‘stucchevoli’.
Dalla ricerca, che si basa sulle aziende che ogni anno si sottopongono alle analisi di Great Place to work che misurano la qualità della vita lavorativa, emergono interessanti cambiamenti. Le aziende coinvolte, intanto, sembrano ora prediligere rispetto a qualche anno fa il lato umano dei candidati, lasciando quello puramente meccanico e scolastico in secondo piano. Insomma, s’indaga sempre più sulla storia degli aspiranti collaboratori.
Vita personale al posto del Cv – In particolare sono stata accantonate le domande tipiche che trattano i punti di forza e di debolezza di ciascun candidato, perché le risposte erano spesso superficiali e poco indicative. Proprio per questo motivo, domande che venivano poste in passato, ora vengono riproposte in modo diverso, con una terminologia nuova, quasi da mostrarsi più interessanti per il candidato.
Accade nell’azienda ‘Mars’, che al posto di chiedere: “Quali sono i tuoi pregi?”, ora parla di talento, doti, insomma termini – secondo Great Placet o Work – più contemporanei. Altra nuova strategia molto frequente è legata alle domande sugli hobby. “Questo – dicono da Great Place to work – è un vero e proprio trabocchetto, per scoprire se il candidato quando parla risulta interessante o meno. Quale argomento migliore della propria passione dovrebbe risultare più facile da poter illustrare al meglio? Quindi una buona dialettica correlata da un hobby curioso potrebbe essere un ottimo punto di partenza”.
Al centro il tempo libero – L’azienda ‘Leroy Merlin’, infatti, apprezza molto questo approccio: il suo obiettivo è sondare la capacità del candidato di coinvolgere, ispirare e comunicare, per poter poi ricoprire un ruolo di leadership. L’azienda ‘Corio’, poi, ancora oggi pone ai candidati domande prevalentemente mirate a comprendere se si ha una passione, un settore dove ci si applica con particolare interesse, per comprendere come l’aspirante dipendente impieghi il suo tempo al di fuori della sfera lavorativa.
Lavoro è un hobby? – In base a questo approccio le risorse umane mirano a scoprire anche altri valori come l’umiltà, la curiosità e la voglia continua di imparare, affinché il posto di lavoro possa diventare un “luogo in cui realizzare la propria identità professionale”. Per questo le domande classiche di un tempo, ora si sono trasformate nella ricerca di creatività e proattività, in modo tale da capire quanto l’aspirante collaboratore abbia bisogno di seguire compiti o quanto invece necessiti di esprimersi lavorando per progetti, diventando “imprenditore” di se stesso.
Domande complicate? Non più – Pare finita quindi l’era dei colloqui con domande destabilizzanti, come vi avevamo raccontato in questo articolo, anche se pare ci sia ancora qualche azienda che voglia porre ai suoi candidati domande più insidiose, per vedere come possano reagire davanti a eventuali problemi. “Che cosa pensa che i suoi amici dicano di lei? E i suoi nemici?”, chiede la ‘Royal Canin’ ai suoi aspiranti collaboratori. Un quesito che serve chiaramente a far emergere anche i lati più negativi del candidato.
Domande più particolari arrivano invece dall’azienda di tlc ‘Welcome’, che chiede cosa si vorrebbe creare di utile, pensando a un prodotto necessario fra 400 anni. E ancora i selezionatori dell’azienda di It ‘Atos’ provano a mettere a dura prova la memoria dei candidati, domandando con quale docente ci si è trovati meglio durante il percorso di studi.
Conclusioni – Se è vero che non esiste un canone con il quale un candidato tipo viene sottoposto ad un colloquio, è vero però che non si percepisce più quella sorta di ostilità di un tempo: “Ora – conclude Great Place to work – le barriere vengono abbattute da dialoghi fluenti. Non più domande trabocchetto o standard, ma si cerca di decifrare il profilo psicologico e strettamente personale del candidato, approfondendo attitudini e interessi individuali. Con una certa propensione da parte delle aziende a mettere a proprio agio l’esaminato, svolgendo la maggior parte dei colloqui in ambienti neutri e informali, così come in bar o caffetterie, o ancora tramite moderni strumenti informatici”.
Per saperne di più – www.greatplacetowork.it.