La vicenda affrontata da una recente sentenza della Suprema Corte, Cass. nr. 21203 dello scorso 17 settembre, riguarda il licenziamento di un dipendente che, a seguito degli accertamenti della società, risultava aver effettuato per più giorni e in un breve lasso di tempo ritardi e assenze dal lavoro, con una modalità e frequenza che avevano leso irrimediabilmente il rapporto di fiducia tra le parti.
Nel caso di specie, a seguito del licenziamento, il lavoratore aveva proposto ricorso avanti il Tribunale, deducendo innanzitutto la non tempestività della contestazione ed inoltre che i comportamenti dal medesimo posti in essere non erano di gravità tale da giustificare il licenziamento “in tronco”.
Rigettate le sue domande in primo grado, il lavoratore proponeva appello avanti la Corte d’appello di Torino, che, tuttavia, confermava la legittimità del licenziamento.
Con ricorso avanti la Suprema Corte, il lavoratore insisteva per l’accoglimento dell’eccezione di non tempestività, essendo i fatti risalenti a settembre e novembre 2007 e la contestazione della fine di gennaio 2008; inoltre, deduceva la mancanza di proporzionalità tra i fatti e la sanzione, che a suo dire si sarebbe dovuta concretizzare in una multa o al più in una sospensione dal servizio.
Gli Ermellini, prendendo posizioni sulle singole contestazioni del lavoratore hanno confermato la legittimità del provvedimento espulsivo.
Particolarmente dettagliata la motivazione che ha confermato la tempestività del licenziamento: sul punto la Corte di Cassazione ha dedotto come la società avesse rispettato il principio di immediatezza, in quanto l’accertamento dei fatti a carico del lavoratore era stato alquanto “laborioso” ed aveva richiesto “uno spazio temporale maggiore”. L’accertamento degli illeciti non presumeva “una tolleranza della condotta del lavoratore”, bensì la necessità di verificare in modo certo e compiuto i fatti ed i “ripetuti abusi” di cui si era reso artefice il dipendente.
La Suprema Corte ha ribadito il principio per cui l’immediatezza va valutata in concreto, caso per caso, ed ove si tratti di illecite condotte ripetute, si deve aver riguardo al momento in cui i fatti possono dirsi accertati nella loro interezza. Nel caso di specie, la correttezza della condotta dell’azienda veniva confermata dal fatto che le verifiche si erano svolte in due diversi archi temporali tra loro non contigui, ma nemmeno troppo lontani, ragion per cui la società aveva accertato che i ritardi e le assenze non erano occasionali, ma che si trattava di “una condotta sostanzialmente abituale”, idonea a far venir meno il vincolo di fiducia.
In relazione alla proporzionalità della sanzione, gli Ermellini hanno evidenziato che i fatti accertati “sono ben più gravi” delle fattispecie tipiche indicate dal contratto collettivo come causa di licenziamento e giustificano in pieno il licenziamento. Infatti il lavoratore, per “nascondere” le proprie plurime assenze, era solito ricorrere a timbrature false dell’orario di entrata e nei periodi in cui era fuori dall’ufficio si recava “presso circoli sportivi per giocare a tennis o praticare il canottaggio; per visitare concessionari d’auto o allontanarsi in compagnia di estranei senza più rientrare in ufficio”.
Le modalità e frequenza dell’illecita condotta (in causa era stata provata la ripetitività degli episodi contestati, in un ridotto spazio di tempo) comprovano la mala fede del lavoratore e l’irrimediabile lesione del vincolo fiduciario su cui si basa il rapporto di lavoro.