Il caso da cui trae origine la pronuncia in commento riguarda il licenziamento disciplinare di un dipendente cui veniva contestato, tra l’altro e per quanto qui rileva, il c.d. “scarso rendimento”. Secondo la prospettazione fornita dal datore di lavoro, l’inadempimento del lavoratore sarebbe emerso dall’esame dei c.d. “rapportini settimanali” da cui sarebbe risultata la scarsa produttività del dipendente, e ciò tanto in termini assoluti (ossia con riferimento ai bassi livelli di produttività dello stesso) quanto in termini relativi (ossia confrontando la produttività del lavoratore con quella espressa dai suoi colleghi). Il lavoratore adiva il Tribunale di Ivrea chiedendo l’accertamento dell’illegittimità del licenziamento intimato in data 2.4.2009, domanda accolta dal Tribunale ma in seguito rigettata dalla Corte di Appello di Torino.
Avverso la sentenza della Corte di Appello, il lavoratore proponeva ricorso in Cassazione adducendo, quali motivi formali di impugnazione, la carenza di tempestività della contestazione disciplinare (la quale sarebbe stata elevata solo in un momento successivo alla maggior parte delle condotte contestate) e, quale motivo sostanziale, la mancanza di proporzionalità del provvedimento. Sotto il profilo dell’argomentazione in diritto offerta dai Giudici di legittimità, la sentenza è di un certo interesse nella parte in cui, rigettando le contestazione formali addotte da parte ricorrente, richiama lo stato della giurisprudenza in punto di licenziamento per “scarso rendimento”.
Secondo la Suprema Corte, infatti, il licenziamento per c.d. “scarso rendimento” costituirebbe species del più ampio genus della risoluzione per inadempimento di cui agli artt. 1453 e ss. cod. civ.. La riconducibilità della disciplina del recesso giuslavoristico alle categorie generali del diritto privato è in realtà controversa (soprattutto in dottrina). Infatti, l’“interesse” di parte datoriale alla sopravvivenza del contratto di lavoro – con il venir meno del quale il datore di lavoro può risolvere legittimamente il contratto di lavoro – deve essere parametrato ai canoni che la disciplina specialistica ha fornito con l’art. 3 della L. 604/1966 (che prevede che «il licenziamento per giustificato motivo con preavviso è determinato da un notevole inadempimento degli obblighi contrattuali del prestatore di lavoro […]»).
Ad ogni modo, indipendentemente dalla questione circa l’applicabilità delle norme di diritto privato o circa la prevalenza su queste della disciplina specialistica, il licenziamento per “scarso rendimento” è giustificato dall’“inadempimento” del lavoratore, che – come noto – deve essere imputabile colpevolmente al lavoratore. Sul punto, la Corte ricorda, infatti, che nel contratto di lavoro subordinato, il lavoratore è soggetto ad un’obbligazione di mezzi (e dunque a prestare la propria attività) e non di risultato (e dunque non al raggiungimento di un obiettivo). Pertanto, è necessario verificare se il lavoratore abbia adempiuto con diligenza alle proprie obbligazioni e non se questi abbia raggiunto i risultati assegnatigli.
A tal fine, la Corte richiama i parametri recentemente utilizzati dalla giurisprudenza per valutare la diligenza specifica propria delle mansioni affidate al lavoratore. Non è la sede per un approfondita disamina del punto, per cui basti qui ricordare che la giurisprudenza ravvede un notevole inadempimento degli obblighi contrattuali nel caso in cui, da un lato, le performance del lavoratore siano oggettivamente molto basse, e, dall’altro, i risultati raggiunti dal medesimo lavoratore siano sproporzionati rispetto a quelli raggiunti dai colleghi che svolgono analoghe mansioni. Poiché oggetto dell’indagine giudiziale è la mancanza di diligenza del lavoratore e non il mancato raggiungimento di ogni singolo risultato, tale indagine non può che essere condotta in un’apprezzabile periodo di tempo, motivo per cui – secondo la Corte – la censura di parte ricorrente relativa alla carenza di tempestività della contestazione non può essere accolta.
Per concludere, rileviamo che pur non fornendo alcun elemento innovativo rispetto a quanto già consolidato in giurisprudenza, la sentenza in esame conferma la sussumibilità dello “scarso rendimento” nel giustificato motivo soggettivo, proprio in un momento in cui la sfida (non solo dottrinale, ma anche della prassi applicativa) sembra essere quello di spostare lo stesso nell’ambito del giustificato motivo oggettivo.