Laura Curino, attrice teatrale, regista e drammaturga, torinese di nascita e ai più nota per gli spettacoli su Olivetti, porta in scena al Teatro Gobetti di Torino, fino al 6 giugno, uno spettacolo che parla nuovamente di imprese, ma questa volta di imprese sante. È lei stessa a spiegarcelo: “in questo spettacolo unisco finalmente i due filoni delle ricerche e delle mie opere precedenti: quello dell’impresa, come di Olivetti, e quello delle vite sante, come di San Barbara e di Bakhita”.
Lo spettacolo, realizzato con Anagoor e con la regia di Simone Derai, tratta infatti di un secolo, l’Ottocento, in cui impresa e santità si unirono, ma apre anche una questione nel qui ed ora: santità ed impresa oggi possono coesistere? Come? Gli episodi delle vite di Don Cafasso detto il prete della forca, degli oratori di Don Bosco e del suo ordine dei salesiani, dell’opera di San Zita per le donne di servizio avviata da Faa di Bruno, di don Murialdo con i suoi operai, di Cottolengo e del suo fuoco della carità, e della marchesa Giulia di Barolo con la sua proposta di riforma carceraria, ci parlano di un fare impresa in cui il centro è l’altro, l’escluso, l’emarginato, colui che nessuno vuole, non certo il mero profitto come accade oggi.
Sulla scena si alterneranno una scala, un tavolo, del pane, una grande lampada rettangolare, pochi oggetti con forte potenziale simbolico. Grazie ad una calibrata e potente composizione di luci, suoni, video, oggetti, gesti e parole, è quasi possibile sentire sapori ed odori di quei tempi, di quei vissuti.
La Santa Impresa è sì un racconto su singoli santi, ma è anche un racconto corale: Laura Curino è tutti loro, è il loro corpo, è la loro voce, è il loro fare reso evidente, al di la’ ed al di qua dell’essere santi. La svolta dei 40 anni di Cottolengo e quella dei 51 anni di Faa di Bruno, le relazioni complesse di Don Bosco con la gerarchia della chiesa, le sue lacrime, ci parlano infatti di persone vere, con inquietudini e personalità, in cammini autentici.
Laura Curino lo sa che “le domande che lo spettacolo porta in evidenza, in questo intreccio fra spirito e scienza, fabbrica e studio, sopruso e giustizia, stato e chiesa sono tante. Cosa sono stati questi santi sociali? Reazionari a parole ed innovatori nei fatti? Mentre in Europa si aggirava uno spettro e si iniziava a fare l’Italia e gli italiani, in Piemonte c’era un fare, “un fare fare fare”, un fare di donne e di uomini per dare risposte ai nuovi bisogni, un fare, dopo essersi affidati alla provvidenza, mosso dall’incontro con lo sguardo dell’altro.
“E tu chi sei ?” “Io… non ho niente, e sono di nessuno”. Sono le parole di un bambino di metà ottocento, ma sono anche le parole che oggi in tante lingue sentiamo, e dovremmo ascoltare, intorno a noi. E “quando hai visto il volto della disperazione non ti resta nulla da fare, devi agire”. Loro agirono e fecero imprese, imprese che hanno varcato i confini nazionali affrontando in modi diversi e problematici il tema del denaro. Ed oggi che ne è di quelle imprese?
Simone Derai riconosce che più che mai per lui, e per lo staff di Anagoor, provenienti dal nord est, “è stato importante, prima di immergersi nella lettura dei testi dei santi sociali vivere e visitare i luoghi in cui oggi queste imprese continuano ad esistere qui in Piemonte”.
La realtà di oggi è quella ben sintetizzata dalle contraddizioni che appaiono nei video che accompagnano tutto lo spettacolo sul maxi schermo: i mercati rionali torinesi, le chiese, i bambini portati a scuola in auto di lusso, le mense per poveri, ed anche i volti di chi oggi, consacrato o laico, sta continuando ad agire in alcune di queste sante imprese. Ed è in una delle scene delle mense, che appare il volto del Cristo della Sindone, è in un quadro, fermo, posato su una finestra, non come la cartina dell’Italia dell’aula della scuola che dondola e dondola.
Quel volto di Cristo colpisce e resta fisso nella retina a ricordare la necessità, l’urgenza e la dimensione sacra dell’incontro con l’altro. Un’urgenza che è di tutti, non solo dei cristiani. Santa Impresa è uno spettacolo intenso da vedere, e da far vedere, ad amici, colleghi e capi, perché uscendo si torni ad agire, e a fare impresa, con quella passione che viene dall’aver, come ci ricorda Laura Curino salutandoci, “alzato lo sguardo e visto il volto degli altri”, quel volto che aveva mosso quei santi sociali, così piemontesi eppure così universali, a fare imprese sante.
Di Samantha Marcelli
1 commento
Bello ed evoluto questo articolo: grazie Samantha per lo stimolo ad aprire la nostra mente e il nostro cuore a prospettive aperte ad ogni possibilità, anche di fare impresa.
La pièce teatrale parla di Santità e Impresa ed é giusto che porti all’estremo i due concetti.
Come uomo di impresa e appassionato del potenziale umano ritengo sufficiente che ciascuno di noi acquisisse consapevolezza del grande potenziale che é dentro ciascuno di noi (proprio tutti) e quindi lo riconoscesse anche negli altri, per far evolvere le imprese in modo più prosperoso e sostenibile, senza scomodare la santità che può sembrare per pochi eletti e quindi lontana dal qui e ora.