La Legge di Stabilità 2016, dopo il Senato è in discussione in commissione Bilancio e il 15 dicembre il testo arriverà in aula a Montecitorio. Molte le novità in tema di lavoro e pensioni. Abbiamo chiesto al senatore Giorgio Santini, che vanta una lunga esperienza da dirigente sindacale nella Cisl, di spiegarci i principali provvedimenti.
Partiamo dalla conferma del bonus assunzioni anche se con una decontribuzione ridotta. Si tratta di un provvedimento centrale del Governo per migliorare l’occupazione?
Dal punto di vista del bonus per le nuove assunzioni con contratto a tutele crescenti la Legge di Stabilità 2016 segna una continuità rispetto al provvedimento dello scorso ma con una differenza sostanziale sull’entità della decontribuzione che passa dal 100 per cento per il triennio successivo al 40 per cento per chi assume dal prossimo anno. Si tratta di un provvedimento straordinario e non era pensabile poter prorogare anche per il 2016 uno sgravio totale triennale del 100 per cento. Il bonus, come confermano i numeri resi noti in questi giorni ha dimostrato di funzionare sul piano della stabilizzazione dei rapporti di lavoro che era uno degli obiettivi principali della manovra. Siamo passati a quasi il 40 per cento di contratti a tempo indeterminato nelle nuove assunzioni in 10 mesi! La sua efficacia in termini qualitativi si è dimostrata indubbia. Inoltre, sono convinto che anche da punto di vista quantitativo il bonus assunzioni produrrà effetti positivi anche se riscontrabili più a medio-lungo termine, mentre noi troppo spesso ci soffermiamo solo su valutazione di tipo quotidiano. C’è da sottolineare, tuttavia, che il vero incremento degli occupati può venire solo con una forte e duratura crescita e sviluppo economico.
Per sostenere la creazione di nuova occupazione con lo sviluppo economico, quindi, quali sono i provvedimenti principali previsti?
Per rispondere con i numeri cito un dato che non viene tenuto in considerazione come dovrebbe. Nel 2014 il Cresme ha valutato l’impatto dei vari incentivi all’economia in 28 miliardi di euro, circa due punti di PIL e stimolato la creazione di circa 400mila posti di lavoro. Sulla scia di questi risultati abbiamo riconfermato gli incentivi all’economia come, gli incentivi alle ristrutturazioni edilizie, detraibili dall’irpef per il 50 per cento, detrazioni per il risparmio energetico al 65%, rinnovo del bonus mobili che permette di detrarre la metà della spesa sostenuta in 10 anni, il bonus ammortamenti per le imprese che prevede la super deduzione del 140% per gli acquisti di macchinari realizzati tra 15 ottobre 2015 e 31 dicembre 2016. Incentivi importanti per sostenere la ripresa della crescita economica e occupazionale e per sostenere il trend positivo che comincia a intravedersi.
Capitolo pensioni. Il nodo è l’uscita anticipata rispetto ai paletti della Legge Fornero. Tutto è rinviato ad un provvedimento per il 2016. Perché non farlo ora?
Il Governo ha detto chiaramente che se ne parla nel 2016. Io penso che sia opportuno parlarne quanto prima per assecondare la tendenza positiva dell’economia e per dare una soluzione strutturale alle molte persone che perdono il lavoro in un’età in cui si è troppo vecchi per il lavoro e troppo giovani per la pensione. Una terra di nessuno, come nel caso degli “esodati” (che con il settimo provvedimento di salvaguardia dovremmo aver risolto definitivamente), che richiede interventi urgenti e definitivi. E’ chiaro che ci sono delle difficoltà sul piano della sostenibilità economica e dobbiamo trovare una formula equilibrata che tenga conto delle esigenze finanziarie ma anche di quelle sociali. Una formula che non scardini il sistema previsto dalla Fornero ma che sia in grado di alleggerirne le rigidità. Come sappiamo la spesa previdenziale è ancora su livelli alti e di guardia e i margini di manovra sono molto stretti. Bisogna studiare un meccanismo che non penalizzi in modo insostenibile chi va in pensione anticipata e allo stesso tempo non metta in crisi i conti previdenziali dello Stato. Tenuto conto che la spesa pensionistica è l’unico baluardo che l’Europa non vuole assolutamente incrinare se non marginalmente. Spero che il Governo abbia il coraggio di aprire subito nel 2016 il cantiere della riforma delle pensione in modo ad arrivare in primavera ad una riforma che eviti il formarsi di nuove aree di persone senza lavoro e senza pensione a rischio altissimo di povertà.
Sei stato il promotore di un emendamento, poi ritirato, che prevedeva l’introduzione del prestito pensionistico. Una misura che avrebbe dato una qualche soluzione al tema del pensionamento anticipato. Puoi spiegarla?
Ci sono varie ipotesi sul tavolo. L’idea è quella che dopo i 62-63 anni si possa ottenere un prestito sugli 800-900 euro che poi devono venire in tutto o in parte scontati dalla pensione che si prenderà. Quando si va in pensione in base ad alcuni indicatori previsionali si spalma l’importo ottenuto in prestito sui ratei che si dovranno prendere, riducendo così di circa 100-150 euro l’importo. Su questa base possono essere inserite anche aggiunte: per esempio la possibilità che il datore di lavoro possa anticipare, con una buona uscita, l’importo da rimborsare con la pensione, evitando quindi la decurtazione. Il costo per lo Stato è minimo e legato sostanzialmente all’anticipo del prestito. Si tratta di una misura più simile ad un ammortizzatore sociale. Purtroppo, però, l’abbiamo ritirato perché sulle pensioni incombono altre urgenze di natura immediata legate anche alla deflazione. In altre parole, con un’inflazione al di sotto dello zero non c’è rivalutazione delle pensioni ma il rischio di restituzione di una quota da parte dei pensionati allo Stato. Rischio che verrà scongiurato con un provvedimento di salvaguardia degli effetti negativi della deflazione sulle pensioni e che ha ovviamente un costo.
Veniamo alle novità in tema di welfare aziendale. Siamo ad una svolta?
Il cosiddetto welfare aziendale, grazie alle novità introdotte in questa Legge di Stabilità, passa da un sistema focalizzato sulla liberalità episodica , ossia sulla scelta unilaterale dell’impresa di riconoscere ai propri dipendenti delle misure in natura e legate al benessere loro e dei propri familiari, ad un sistema contrattuale. Viene “liberalizzata”, in sostanza, la possibilità di realizzare accordi sindacali e con i lavoratori su tutta una serie di capitoli di welfare come il carrello della spesa, l’acquisto di beni, i servizi alla persona e così via. Accordi sui quali la legge di riferimento prevede (entro certi limiti) una totale decontribuzione. In questo modo il welfare aziendale diventerà ancora di più uno dei capitoli centrali delle relazioni industriali di secondo livello e in azienda e uno dei pilastri del welfare mix. Inoltre, per la prima volta in Italia è stato introdotto nell’ambito degli accordi di welfare aziendale il voucher per i servizi alla persona. Si tratta di uno strumento di pagamento dato ai dipendenti per i servizi di assistenza alle persone non autosufficienti, alle badanti per i propri cari anziani, per i servizi di baby sitting che da un lato risponde alle crescenti esigenze delle famiglie in questo senso, e dall’altro sarò uno utile strumento di conciliazione dei tempi di vita-lavoro, di incentivo al lavoro femminile e di emersione del lavoro nero.
I sindacati vi accusano di aver dimenticato il Sud in questa legge di stabilità. Cosa rispondi?
Che mi pare un’accusa forzata. Intanto tutti gli interventi riguardano il Paese e quindi anche il Sud. Per ciò che riguarda misure specifiche, invece, ne cito due in particolare che riguardano il lavoro e le imprese approvate proprio in queste ore. La possibilità di riconoscere per le Regioni del Sud un bonus occupazione con un livello di decontribuzione per un periodo più lungo rispetto al Centro-Nord, utilizzando in fondi europei e un credito d’imposta sugli investimenti scaglionato a seconda delle dimensioni delle impresa, più forte per le aziende medio-piccole. Certo, si può sempre fare di più e tutto è opinabile, ma è evidente che ci sono interventi specifici e che il Sud che non è stato dimenticato.
Vista la tua lunga esperienza nella Cisl, dove hai ricoperto incarichi importanti, ti chiedo una valutazione sul taglio delle risorse ai patronati. E’ giusto tagliare i contributi?
Sono convinto che il taglio al fondo patronati di 48 milioni fosse esagerato. In Senato il taglio è stato ridotto, anche se a fatica: dai 48 milioni previsti siamo passati a 28 milioni. Credo che anche alla Camera ci sarà un ulteriore riduzione e alla fine rimarrà una decurtazione molto inferiore rispetto all’ipotesi di partenza. Ciò detto, tuttavia, va ricordato che lo scorso anno è stata varata una riforma dei patronati e definiti una serie di decreti attuativi che si attendevano da molto tempo con lo scopo di razionalizzare il sistema dei patronati , introducendo una serie di soglie minime di qualità e indispensabili per poter svolgere questa attività. Tra l’altro, la riforma ha anche portato ad una riduzione dell’aliquota di finanziamento del fondo. E’ all’interno di questo disegno di razionalizzazione che va inquadrata la riduzione delle risorse oltre che in una generale politica di spending review che chiede a tutte le funzioni dello Stato (le risorse dei patronati sono in capo al Ministero del lavoro) di fare sacrifici. Va riaffermato, nel contempo, il ruolo dei patronati che considero di assoluta utilità sul piano sociale quale presidio di consulenza gratuita e qualificata sulle prestazioni sociali dello Stato per milioni di persone.