I direttori del personale non hanno “paura” del salario minimo e al contrario ne colgono le diverse opportunità: il 70% è favorevole alla sua introduzione. Possiamo così sintetizzare il sentiment prevalente dei rispondenti all’indagine promossa dall’Aidp, l’associazione per la direzione del personale, sul tema del salario minimo, divenuto di stretta attualità a seguito della bozza di accordo raggiunta da Consiglio e Parlamento Ue sulla direttiva ad inizio giugno, ma non ancora approvata definitivamente.
Da un lato i risultati dell’indagine evidenziano una sostanziale e diffusa consapevolezza che l’introduzione di tale misura non inciderà negativamente nel nostro sistema di relazioni sindacali: il 74% dei rispondenti, infatti, ritiene che non impatterà sull’aumento del costo del lavoro, oltre l’86% che le relazioni sindacali non verranno indebolite o inasprite e il 66% che la misura non allontanerà le imprese dal contratto nazionale (CCNL).
Dall’altro prevale la convinzione che il salario minimo avrà effetti benefici sui una specifica categoria di lavoratori più deboli e meno qualificati: il 61% ritiene, infatti, che il salario minimo ridurrà la disuguaglianza nei livelli salariali aumentando il salario dei lavoratori meno retribuiti, circa il 71% che ne trarranno beneficio soprattutto i lavoratori meno qualificati e protetti. Da evidenziare, inoltre, che un’elevata percentuale di rispondenti (il 70%) ritiene necessario legare il salario minimo al costo della vita su base regionale. Questi i dati principali emersi dall’indagine Aidp, a cuihanno risposto circa 600 direttori del personale, curata del Centro Ricerche Aidp guidato dal professor Umberto Frigelli.
“Il punto di partenza di ogni dibattito intorno sul salario minimo deve tener conto della specificità italiana. Parliamo di una lunga storia di relazioni sindacali e di contrattazione e che molti paesi europei hanno in misura minore, che ha coperto, e copre, gran parte del mercato del lavoro con diritti e doveri, compreso ovviamente il tema salariale, regolati dai contratti collettivi nazionali ampiamente diffusi – spiega Matilde Marandola, Presidente Nazionale AIDP –. La vera questione è capire come garantire anche a quella parte minoritaria del nostro sistema che è fuori dai contratti nazionali un’adeguata tutela salariale. In questo senso l’introduzione di una misura che vada in questa direzione come il salario minimo per legge può avere una sua ragion d’essere. La sua introduzione, tuttavia, deve avvenire in modo equilibrato e virtuoso all’interno di un sistema come il nostro in cui il ruolo e la funzione regolatrice delle parti sociali sono largamente estesi”.
Dimissioni volontarie, lavoro nero e reddito di cittadinanza. Dall’indagine emerge una sostanziale neutralità del salario minimo rispetto all’incidenza che potrebbe avere sui diversi capitoli e trend del nostro mercato del lavoro, chiamati in causa dal dibattito pubblico sul tema. Il 72% ritiene che la misura non diminuirà la percentuale di dimissioni volontarie, il 67% che non ci sarà nessun impatto sulla diminuzione del lavoro nero e il 50% che questa soluzione non ridurrà l’accesso al reddito di cittadinanza contro il 32%, invece, che ritiene questa opzione possibile.