Sono stati definiti tra gli eroi di questa pandemia perché è anche grazie a loro che una parte dell’economia non si è fermata, in particolare quella legata alle consegne del cibo a domicilio. Ma loro lottano ancora per ottenere in primo luogo un contratto degno di tal nome, poter lavorare nel modo più lecito possibile, in sicurezza e senza orari estenuanti. Parliamo dei riders, conosciuti anche come ciclofattorini che di recente sono tornati agli onori della cronaca per la vicenda che riguarda UberEats e l’intermediazione illecita di lavoro, conosciuta anche come caporalato digitale, a seguito del commissariamento del Tribunale di Milano e le indagini che sono state portate avanti con interviste a oltre 1000 rider.
Il caporalato digitale delle consegne a domicilio. E già perché tra consegne di sushi e pizza a domicilio, anche in questo “mondo” succederebbe quello che succede nelle campagne, ossia che i riders non si trovino direttamente a lavorare con le varie società di food delivery, ma che, in particolare per migranti, rifugiati di guerra, persone prive di permesso di soggiorno (ma non solo per loro) ci siano degli intermediari che facciano appunto da tramite, in modo illegale, tra le aziende che offrono il servizio e i lavoratori, quando il tutto andrebbe gestito in maniera diretta.
Un fenomeno endemico che riguarda tutti. Al momento, l’indagine, condotta dal nucleo di polizia economica finanziaria della GDF riguarda Uber Eats, ma “tutto ciò non esiste solo da adesso. Da anni noi di Deliverance Milano abbiamo denunciato le irregolarità e possiamo dire che si tratta di un fenomeno endemico che riguarda tutte le compagnie del settore”. A parlare è Angelo Junior Avelli di Deliverance Milano, collettivo autonomo di fattorini e sindacato sociale autorganizzato che incontriamo in un bar di Milano.
Diversi tipi di caporalato. “Ma bisogna fare delle precisazioni e capire che ci sono diversi tipi di caporalato e che, accanto a questi si può parlare anche di mutualismo. Comincio proprio da quest’ultimo: capita spesso che ci siano più riders che lavorano con lo stesso account. Succede per esempio tra persone che hanno un vincolo parentale o magari tra due immigrati, di cui uno è in regola e l’altro no, o magari uno dei due è dovuto tornare al paese di origine e l’altro continua a utilizzare il suo account. Si tratta di persone”, spiega Avelli “costrette a lavorare e che si organizzano in questo modo. Tornando invece al caporalato c’è quello legato a società di intermediazione come il caso delle due società prese in considerazione nella vicenda Uber Eats, ma anche quello legato direttamente a una persona, a chi, cioè, ha in gestione un account e assegna il lavoro ad altre persone (quello che in agricoltura sarebbe chiamato caporale, ndr) Non c’è dietro una società ma il fenomeno è praticamente lo stesso. Ci sono addirittura acquisti di account. Non saprei dire a quanto vengono venduti, ma il fenomeno c’è anche perché la forza lavoro si è ampliata notevolmente in questi anni. La vicenda di Uber Eats ovviamente fa scalpore per le minacce, il tipo di paga e tutto, ma di fatto resta il problema numero uno per i riders ossia la mancanza di un contratto”.
Si lavora per 4-5 euro lordi l’ora ma dipende dalle consegne. Per chi non sapesse come funziona il fenomeno del delivery e delle varie aziende che consegnano a domicilio tramite i rider, viene tutto gestito tramite un’app (si parla infatti di app economy) e i vari lavoratori, che lavorano con partita IVA o con prestazione occasionale, si collegano via smartphone e danno la loro disponibilità per portare avanti una o più consegne in una o più fasce orarie con mezzi propri come la bicicletta. Il pagamento di un rider è sostanzialmente all’ora, in genere “sui 4-5 euro lordi” spiega Angelo “ma molto dipende da quante consegne si fanno all’ora. In genere non più di 2, solo nei casi di maggiore richiesta, tipo ora di pranzo o cena si può arrivare a 3 ma ovviamente è molto difficile. Tra i vari delivery quello che paga un po’ meglio c’è Just Eat, arrivando fino a 7 euro lordi”.
Sanatoria vera per i migranti. Tornando al tema del caporalato digitale per cui c’era un’indagine già da tempo, la soluzione che propone RiderXiDiritti – la rete nazionale che raccoglie i rider – è quello di una sanatoria per i migranti. “Che sia però reale”, precisa Angelo “e non di sei mesi com’è stato appena previsto nel mondo dell’agricoltura anche perché quello che viene fuori da tutta questa vicenda è una cosa importante: non si risolve la situazione guardando il singolo fenomeno, ma trovando una soluzione che sia giuridica. Non bisogna togliere il diritto alla persona di accedere al lavoro, ma bisogna regolamentare tutto”.
Cosa dice AssoDelivery. Sul tema abbiamo provato a contattare anche Assodelivery, l’associazione dell’industria del food delivery italiana di cui fanno parte Deliveroo, Glovo, Just Eat, SocialFood e Uber Eats che ci ha così risposto dicendo di avere appreso la notizia dalla stampa: “Il caporalato è un fenomeno di illegalità che AssoDelivery intende contrastare in ogni modo. L’associazione adotta una politica di tolleranza zero nei confronti della criminalità, contro la quale intende sostenere ogni iniziativa utile e provvedimento necessario per contrastarla. L’associazione prende inoltre atto delle informazioni circolate e riportate dalla stampa, che descrivono un quadro preoccupante. AssoDelivery ha convocato un consiglio direttivo nel quale, dopo ampia discussione, Uber ha proposto la sua temporanea sospensione dal direttivo dell’associazione, in attesa che gli sviluppi dell’inchiesta, e relative indagini, possano fare chiarezza. Le imprese aderenti ad AssoDelivery hanno ringraziato Uber per il senso di responsabilità dimostrato e hanno accolto la proposta di sospensione”.
Mancanza di sicurezza durante l’emergenza Covid-19. La vicenda riders a ogni modo continua a essere travagliata al di là degli ultimi risvolti: nel novembre 2019 è stato approvato un decreto legge, poi convertito in legge, ma di fatto perché entri a pieno regime bisogna aspettare novembre 2020. Inoltre, al di là del caporalato digitale, i problemi sono diversi. Uno tra tutti riguarda per esempio la sicurezza. I cosiddetti “eroi digitali” durante la fase acuta dell’emergenza si sono trovati senza i cosiddetti DPI, ossia i dispositivi di protezione individuale: “Sono arrivati 2 mesi dopo e prima ognuno ha dovuto provvedere da sé perché le piattaforme digitali in tal senso hanno fatto poco e anche adesso quello che forniscono è a discrezione loro”. Il weekend scorso i rider di RiderXiDiritti hanno organizzato uno sciopero in contemporanea che ha coinvolto contemporaneamente una quindicina di città, da Messina a Udine, da Lecce a Brescia, passando per Milano, Roma, Firenze, Palermo ecc…
Sciopero per la sicurezza e per il CCNL. Lo sciopero chiamato #iononconsegnoalpiano (con i riders che invitano i clienti a scendere per ritirare la merce) “ha avuto l’obiettivo di coinvolgere le persone e porre l’attenzione sulla questione della salute e sicurezza di noi rider, denunciando la mancata distribuzione dei dispositivi di protezione individuale da parte delle piattaforme così come di legittimare una buona pratica come quella del rifiuto della consegna al piano con la sua generalizzazione, in quanto l’emergenza sanitaria non è finita e nessun lavoratore deve essere ricattato da clienti poco consapevoli o colpito da un feedback negativo che ne comprometterebbe le statistiche e la possibilità di lavorare la settimana dopo” si legge sul profilo Facebook di Deliverance Milano. “Inoltre” aggiunge Avelli, “volevamo allargare la rete nazionale e ci siamo riusciti. Un altro passo verso la direzione verso cui vogliamo andare: ottenere la regolamentazione del settore attraverso l’applicazione di un Contratto Collettivo Nazionale, che rientri o nel settore gGDO o trasporti e logistica e il riconoscimento di tutti i nostri diritti. Non un contratto ad hoc per i rider, ma far parte appunto di un collettivo e rivendicare i nostri diritti insieme a tutti coloro che fanno parte di quelle categorie. Non siamo e non vogliamo essere una corporazione”.