La priorità per Matteo Renzi? Il lavoro. Il neo segretario del Pd lo ha proclamato nel suo discorso di insediamento davanti all’assemblea nazionale del partito il 15 dicembre a Milano. Job Act è il nome con cui da mesi definisce il “gigantesco” piano con cui ora occorre intervenire subito, entro un mese di tempo. A gennaio dunque dovrebbe essere presentato un progetto di legge per semplificare le regole del lavoro e degli ammortizzatori sociali: “È finita l’era ideologica della discussione sul lavoro – ha detto Renzi – Non si può discutere per 10 anni sull’articolo 18, mentre si dimezza l’attrattività degli investimenti esteri. Noi dobbiamo dire che tutti coloro che perdono il posto di lavoro, hanno diritto a un sussidio universale. O il Pd torna ad essere il partito del lavoro, o perdiamo la nostra identità. Secondo i sondaggi siamo il terzo partito tra gli operai, tra i precari e i disoccupati, non solo tra le partite Iva. Dobbiamo ragionare su questo punto”.
Le proposte – L’idea centrale del Job Act, il cui “cervello economico”, come scrive Il Messaggero, è il deputato renziano Yoram Gutgeld, è un tipo di contratto definito indeterminato-flessibile per i giovani sotto un certo limite di età che vengono assunti. Niente più contratti a progetto dunque, ma anche nessuna possibilità di reintegro per giusta causa previsto dall’articolo 18 che, in questo caso, verrebbe sostituito con un indennizzo a fronte del licenziamento, oltre che con la garanzia di un sussidio di disoccupazione e l’opportunità di riqualifica professionale. L’articolo 18 così com’è resterebbe in vigore invece per chi è già dentro il mercato del lavoro.
Nel programma elettorale per le primarie di Renzi non mancava poi un rilancio dei Centri per l’impiego “in un Paese dove si continua a trovare lavoro più perché si conosce qualcuno che perché si conosce qualcosa”, portato avanti di pari passo con una revisione del sistema di formazione professionale “che troppo spesso risolve più i bisogni dei formatori che di chi cerca lavoro”.
Filippo Taddei, nuovo responsabile economico del Pd, intervenuto su Radio 24, ha ribadito poi la volontà di ridurre le tasse sul lavoro e ha chiarito la posizione del Pd sugli ammortizzatori sociali: “Noi vorremmo un Partito Democratico che, con la stessa enfasi con la quale parla di rifinanziamento della Cassa Integrazione, riconosca che la cassa integrazione copre più o meno un lavoratore su tre. Vorremmo occuparci di quel lavoratore, ma anche degli altri due”.
Sfide e critiche – Sul tema del lavoro il vicepremier Angelino Alfano ha sfidato il nuovo segretario del Pd con ironia: “Vedremo se questa nuova sinistra farà davvero le riforme o se sarà comandata ancora dal sindacato. Siamo curiosi di capire se a proposito di mercato del lavoro Renzi dirà in inglese le tesi della Cgil o parlerà in inglese delle ipotesi riformatrici”. E proprio dai sindacati, interpellati dal Fatto Quotidiano, sorgono le prime critiche al Job Act: se la Cigl appunto vorrebbe si parlasse di crescita invece che di riforme sulla carta, la Cisl pone il problema non sui contratti ma sul reddito dei lavoratori flessibili, punto cruciale anche per il collettivo San Precario di Milano che si focalizza sul rischio della creazione di “working poors”, ovvero persone che lavorano a tempo pieno ma che non arrivano a mille euro al mese di stipendio.