Nel terzo e quarto trimestre 2019 nell’area dell’euro, coerentemente con l’andamento del Pil, prosegue a ritmi più lenti la crescita dell’occupazione che resta al massimo storico; prosegue anche la diminuzione del tasso di disoccupazione: a dicembre 2019 tocca il 7,4%. E’ quanto emerge da una nota congiunta del Ministero del Lavoro, Istat, Inps, Inail e Anpal, relativa al rapporto sul mercato del lavoro 2019.
I dati. In Italia – si legge nel Rapporto – nel terzo trimestre 2019 si osserva per la quarta volta consecutiva una crescita congiunturale del Pil dello 0,1%. Tuttavia, nel quarto trimestre 2019 il Pil ha subìto una riduzione dello 0,3% rispetto al trimestre precedente e una variazione dello +0,1% nel raffronto su base annua. Nel terzo e quarto trimestre 2019, l’occupazione in Italia è al massimo storico di 23,4 milioni di unità, ma nei dati preliminari di dicembre e gennaio si registra un calo sia del numero di occupati sia del tasso di occupazione.
L’input di lavoro. Nel terzo trimestre 2019, – prosegue il Rapporto – assistiamo a una crescita delle ore lavorate sia su base congiunturale (+0,4%) sia in termini tendenziali (+0,5%); nel quarto trimestre 2019 rallenta la crescita tendenziale (+0,3%) e diviene negativa la variazione congiunturale (-0,3%). Complessivamente, è proseguita, seppure con fasi alterne, l’espansione dei livelli di input di lavoro dopo il minimo raggiunto nell’ultimo trimestre del 2013 anche se rimane ancora sotto ai livelli del 2008.
Il confronto. Permane la tendenza a una crescita occupazionale a bassa intensità lavorativa: il numero di occupati supera il livello del 2008 ma la quantità di lavoro utilizzato è ancora sensibilmente inferiore. A differenza della fase ciclica degli anni ’90, in cui l’occupazione e le ore lavorate seguivano sostanzialmente lo stesso andamento, – si legge ancora – la fase più recente è caratterizzata da una discesa delle ore lavorate e da una caduta del tempo pieno a fronte di una sostanziale tenuta dell’occupazione.
Gli elevati divari con l’Ue – spiegano Ministero del Lavoro, Istat, Inps, Inail e Anpal – sono aumentati anche nella recente fase di ripresa: il gap nel tasso di occupazione è passato da 8,9 punti nel primo trimestre 2014 fino a 10,2 punti nel terzo 2019 e quello del tasso di disoccupazione da 2,1 a 3,5 punti, con differenze più accentuate per le donne e i giovani. Continuano ad ampliarsi alcuni storici divari caratteristici del nostro Paese, anzitutto quello generazionale a favore dei più adulti. Seppur in lieve diminuzione, i divari di genere rimangono elevati: la metà delle donne in età attiva non lavora e quasi una donna su cinque vorrebbe lavorare ma non trova un impiego.
I licenziamenti relativi a rapporti di lavoro a tempo indeterminato sono passati da 647 mila nel 2014 a 579 mila nel 2018. La quota di licenziamenti sul totale delle cessazioni nel 2018 – si legge ancora nella nota – è risultata pari al 36% contro il 42% nel 2014; specularmente le dimissioni hanno pesato per il 53% nel 2018 e per il 48% nel 2014. La gran parte dei licenziamenti è motivata da ragioni economiche, circa nove su dieci, ma l’incidenza di quelli disciplinari sul totale dei licenziamenti risulta in crescita: dal 7,4% del 2014 al 13% del 2018.
La maggior parte dei licenziamenti – emerge dal Rapporto – avviene nelle piccole imprese (62% nel 2018). In particolare, i datori di lavoro che hanno licenziato dipendenti con rapporti di lavoro a tempo indeterminato hanno anche attivato nuovi contratti a tempo indeterminato, in ragione di 1,2 rispetto ai licenziamenti effettuati (0,7 nelle piccole imprese e 2,0 in quelle più grandi. Nel 2018 oltre un terzo dei rapporti di lavoro a tempo indeterminato interrotti per licenziamento ha la durata inferiore a un anno; i licenziamenti entro tre mesi dall’assunzione sono più frequenti tra i giovani fino a 29 anni (18,8% in confronto al 10,8% del totale).
La quota di lavoratori licenziati in presenza dei requisiti richiesti per accedere alla NASpI, lo strumento di sostegno al reddito dei disoccupati entrato in vigore nel 2015, oscilla attorno al 60% per gli anni 2016-2018. Il mancato accesso alla NASpI – rileva il Rapporto – è motivato essenzialmente dal tempestivo ricollocamento al lavoro che interessa circa il 30% dei lavoratori licenziati. Nella quota residua (attorno al 10%) si addensano soprattutto lavoratori stranieri.
Cresce il part time. Nel 2018 gli occupati a tempo parziale in Italia sono 4,3 milioni, il 18,6% del totale. Tale quota, cresciuta in modo continuo negli ultimi anni, si è avvicinata a quella della media Ue (20,1%). La differenza residua – si legge nel Rapporto – dipende principalmente dal lavoro indipendente che in Italia è più presente e meno interessato dal part time, mentre per i dipendenti la quota è pressoché analoga in Italia e in Europa.
Le motivazioni. La crescita del part time è dovuta sia a un maggior ricorso a tale regime di orario sia a un’intensificazione presso le imprese che già lo utilizzavano. Rispetto al 2014 – conclude il Rapporto – le imprese con solo dipendenti full time sono diminuite del 14% mentre sono cresciute del 12% quelle con solo dipendenti part time e del 9% quelle con entrambe le tipologie.