Milano 26 aprile 2016 – Secondo i lavoratori italiani la tecnologia rappresenta prima di tutto un’opportunità utile per creare produttività e efficienza, per offrire nuovi strumenti di comunicazione e collaborazione, per superare barriere e vincoli che rendono più onerose le attività quotidiane. Ma l’introduzione del digitale nel mondo lavoro non è senza conseguenze: richiede aggiornamento costante, solleva un senso di inadeguatezza tra chi non conosce adeguatamente gli strumenti informatici, elimina alcune interazioni faccia a faccia con i colleghi e clienti. Solo pochi dipendenti, in ogni caso, ritengono che tutto questo renda la società “meno umana” e gli italiani appaiono tra i più tecno-entusiasti al mondo. È quanto emerge dal Randstad Workmonitor, l’indagine realizzata in 34 Paesi nel mondo da Randstad, secondo player al mondo nei servizi per le risorse umane, che nel primo trimestre 2016 è stata dedicata all’impatto della tecnologia nel mondo del lavoro.
La popolazione di riferimento dello studio è costituita dalle persone con età compresa tra i 18 e i 65 anni che lavorano per almeno 24 ore alla settimana e percepiscono un compenso economico per questa attività (minimo 400 interviste per ciascun Paese, in Italia sono state intervistati 405 lavoratori). Dalla ricerca, emerge innanzitutto come anche gli italiani non si possono esimere dalla rivoluzione tecnologica in atto: il 90% dei lavoratori pensa che la tecnologia e la digitalizzazione abbiamo oggi un maggiore impatto sul loro lavoro rispetto al passato. L’Italia si colloca all’ottavo posto nel mondo, ben sopra la media globale (81%) e non troppo lontano da Messico (96%) e India (95) che guidano la classifica mondiale.
La stragrande maggioranza dei dipendenti italiani – il 90% – giudica il crescente impatto della tecnologia sul proprio lavoro un’opportunità: in questa classifica l’Italia si colloca al 4° posto nel mondo, appena dopo India, Messico (primi al 96%) e Cile (95%), ben sopra la media globale pari all 79%, al primo posto in Europa. L’88% dei lavoratori del nostro Paese ritiene però di avere bisogno di più formazione per tenere il passo con gli sviluppi della tecnologia: in graduatoria siamo al terzo posto al mondo, dopo Malesia e India (69%).
“Dal Workmonitor emerge l’impegno dei lavoratori nel voler conciliare pro e contro della tecnologia nel mondo del lavoro – afferma Marco Ceresa, AD di Randstad Italia – a partire dalla consapevolezza che la convivenza sia imprescindibile, perché l’impatto della digitalizzazione sul lavoro è notevole per quasi tutti. Questo non è sufficiente però a nascondere anche il senso di inadeguatezza che richiede una preparazione permanente: un segnale di vulnerabilità, ma anche un desiderio di apprendimento che l’impresa ed il mercato del lavoro devono raccogliere fornendo strumenti e adeguata formazione”.
La tecnologia consente opportunità di comunicazione e collaborazione a distanza, ma muta la componente relazionale nel mondo del lavoro. Con una premessa: ben il 94% dei dipendenti italiani crede che un incontro faccia a faccia costituisca il modo migliore di interagire con le persone. Con questa percentuale, siamo il primo Paese al mondo tra i 34 oggetto di indagine. Il rischio di sostituire le tradizionali relazioni personali con strumenti informatici è sentito dagli italiani, ma senza eccessiva preoccupazione. Il 47% dei lavoratori (in linea con la media globale) ritiene che l’onnipresenza della tecnologia nel lavoro di fatto li faccia essere meno in contatto con i loro collaboratori, il 50% lo evidenzia anche con le altre persone nel mondo reale (meno della media).
Solo il 52% dei lavoratori (una delle percentuali più basse nel mondo) evidenzia che a causa della tecnologia le relazioni faccia a faccia con i contatti di lavoro si sono ridotte. E solo per il 42% riscontra meno interazioni anche con gli stessi i colleghi. Più in generale, il 44% dei dipendenti italiani ritiene che la tecnologia renda la società meno umana – siamo l’ultimo Paese al mondo – contro una media globale del 59%. Al contrario, il 65% la ritiene in grado di creare una società più umana (59% di media).
“L’approccio degli italiani verso il possibile conflitto con una tecnologia ‘disumanizzante’ è quello giusto – commenta Marco Ceresa –. Gli strumenti digitali costituiscono oggi un’opportunità per liberare tempo, energie e produttività tra i lavoratori, ma non possono e non devono sostituire completamente la relazione faccia a faccia, mentre al contrario la presenza fisica non può essere la regola in tutte le situazioni. Il giusto mix di innovazione tecnologica e relazioni ‘tradizionali’, in un equilibrio stabilito sulla base delle attività proprie di ciascun profilo, è in grado di garantire il necessario ‘tocco umano’ anche a interazioni che diventano sempre più digitali”.