Nello scenario politico, sociale ed economico italiano largamente condizionato dalla pandemia sta per aprirsi un fronte vecchio e nuovo allo stesso tempo, sicuramente molto caldo: quello legato alla riforma delle pensioni.
Secondo i dati della Ragioneria generale dello Stato, nel 2020 la spesa per le pensioni aveva raggiunto il 17% del PIL, nuovo record di sempre. Un dato preoccupante se si considerano l’invecchiamento progressivo della popolazione e le incognite relative alla crescita economica nell’Italia che cerca faticosamente di uscire dalla pandemia.
L’addio a quota 100 dal 31 dicembre 2021 ormai, è una certezza e il governo Draghi sta lavorando a fari spenti ad una riforma da definire entro fine anno e che possa permettere ai conti pubblici di respirare ma senza penalizzare eccessivamente chi dovrà andare in pensione.
Nelle intenzioni dell’esecutivo c’è l’ipotesi di dare maggiore flessibilità in uscita ai lavoratori che appartengono a categorie svantaggiate permettendo loro di accedere alla pensione anticipata ma con alcune penalizzazioni mirate ad evitare che gli anticipi gravino troppo sui conti pubblici.
Tante le ipotesi sulle quali si sta ragionando e tra quelle più gettonate sembrano esserci quota 102 (64 anni di età con 38 anni di contributi prevedendo lo stesso meccanismo della quota 100), quota 41 per tutti indipendentemente dall’età e l’uscita anticipata a 62 anni ma con ricalcolo contributivo della pensione. Il rebus non è di facile soluzione perché ogni ipotesi contempla pro e contro sia per il governo che per i lavoratori. In merito ai secondi, il problema principale è rappresentato da un costo troppo alto per rendere l’anticipo conveniente. Infatti, se si attuano delle penalizzazioni come il ricalcolo contributivo il lavoratore ipoteca tutta la sua futura pensione accettando, come oggi accade nell’opzione donna, una perdita dell’assegno previdenziale che potrebbe toccare anche il 30%.
Nel clima d’incertezza sul futuro previdenziale dell’Italia, i sindacati hanno le idee chiare e continuano a chiedere o quota 41 per tutti indipendentemente dall’età e senza penalizzazioni, o la pensione con 64 anni di età e 20 anni almeno di contributi versati sulla falsariga di quello che oggi avviene con la pensione anticipata contributiva (che richiede un assegno di almeno 2,8 volte l’assegno sociale INPS).
In particolare, il segretario confederale della Cgil Roberto Ghiselli nel fare il punto sulle richieste avanzate dalle sigle nazionali ha affermato: «abbiamo riproposto la nostra piattaforma, uscita a 62 anni o con 41 anni di contributi, riconoscimento dei lavori gravosi, del lavoro di cura e delle donne, tutela dei disoccupati senza lavoro e senza pensione, pensione di garanzia per il lavoro povero e discontinuo, adeguamento delle pensioni in essere».
Dal canto suo, il ministro Orlando è stato molto chiaro: “”Penso che ci saranno delle misure che sostituiranno quota 100, quello che va superato di quota 100 è che si dava la stessa misura a tutti, a prescindere dal tipo di lavoro che si era svolto nel corso del tempo. Si tratterà di tenere conto della gravosità del lavoro, delle risorse disponibili e delle condizioni medianti le quali si è arrivati a costruire un percorso retributivo”.
E’ facile quindi prevedere una riforma leggera che permetterà l’uscita anticipata solo ad alcune categorie di lavoratori con in pole position quelli usuranti. Per tutti gli altri, dunque, è molto probabile uno scalone con un balzo dell’età pensionabile che va da 62 anni con Quota 100 a 67 con la Fornero. Conti pubblici da un lato, sindacati e forze politiche (Lega in primis dall’altro): il percorso del Governo Draghi verso la riforma sembra delinearsi non come un’autostrada a quattro corsie ma come uno stretto sentiero pieno di insidie.