Uscito da poco in libreria, il libro del presidente della Cida e vicepresidente di Manageritalia, Mario Mantovani, “Il lavoro ha un futuro anzi tre”, si propone di aprire una riflessione sulle profonde trasformazioni in atto nel mondo del lavoro. Il libro parte da alcuni assunti di base per delineare, successivamente, quelli che saranno i cambiamenti che interesseranno il mondo del lavoro. Rischi ed opportunità, per Mantovani, sono raggruppabili in tre scenari e altrettanti obiettivi: il futuro immediato del lavoro in cui bisogna mantenere le grandi conquiste sindacali e smaltire la burocrazia; i prossimi 20 anni, che saranno condizionati dalla tecnologia e durante i quali bisognerà trasformare il progresso tecnologico in vantaggi occupazionali ed il futuro anteriore, quando dovranno essere superati i limiti del capitalismo per mettere in campo strumenti di analisi completamente nuovi.
Qual è l’obiettivo per il quale ha deciso di scrivere questo libro? Cosa vuole trasmettere al lettore? Ho voluto raccogliere idee non accademiche, non settoriali, frutto di analisi ma anche di discussioni con colleghi manager, economisti, professionisti, esperti. Credo che il nostro tempo presenti grandi sfide economiche e sociali, al centro delle quali sta l’evoluzione del lavoro umano. Lavoro sempre più complementare a quello di robot e altre intelligenze artificiali e che richiede un profondo ripensamento nelle norme, nelle modalità organizzative, nella trasmissione della conoscenza, nello sviluppo delle competenze. Cerco lettori desiderosi di discutere e approfondire temi ampi e trasversali, ma soprattutto pronti a fare la loro parte, per non subire, ma guidare le trasformazioni.
In che modo il mondo del lavoro sarà coinvolto nella trasformazione economica? Il messaggio di fondo è che il lavoro umano ha di fronte a sé un futuro, non è destinato a estinguersi in larga parte del pianeta, consegnando agli economisti il solo compito di studiare come redistribuire il reddito generato dalle intelligenze artificiali. Senza un rinnovato contratto sociale, al centro del quale sta il lavoro umano, le società nei paesi sviluppati sono destinate a vivere forti divergenze tra categorie, generazioni e territori, ponendo le basi per conflitti e disordini generalizzati. Il meccanismo redistributivo basato sulla tassazione è in forte crisi, è sempre meno capace di mantenere in equilibrio società complesse.
Nel suo libro emerge una triplice visione del tempo e quindi diversi scenari di evoluzione del lavoro e dell’economia. Come è rappresentato il futuro del lavoro in questa prospettiva? Sono convinto che la visione del futuro non vada sviluppata in modo lineare, ma secondo una logica di cerchi concentrici, in cui il futuro più prossimo è condizionato dal presente più recente e così via. Il primo orizzonte è quello del futuro immediato, di 3-5 anni, e corrisponde a quello di un mandato politico. Occorre riconoscere che i gradi di libertà, specialmente in Italia, non sono molti e occorre mettere in sicurezza soprattutto il modello di welfare misto pubblico-privato solidaristico. Nel futuro contemporaneo (che finirà con la generazione dei nostri figli) inciderà moltissimo la variabile demografica, ed è necessario mettere in atto trasformazioni profonde dell’impianto normativo e organizzativo sul quale oggi si basa il lavoro. In un futuro “oltre” si può immaginare l’emergere di un nuovo modello economico, basato sul concetto di accesso e non di scambio, in grado di superare quello capital-lavoristico. Ma per realizzare queste prospettive occorrono ancora molti anni di studio e approfondimento.
La distinzione tra lavoro autonomo e dipendente è destinato a scomparire. Quale sarà la nuova configurazione? Gran parte del lavoro è ormai definibile come organizzato, con gradi di autonomia, presenza, orari, modalità di funzionamento molto variabili, anche all’interno della stessa azienda. Salvo i ridotti casi di lavoro totalmente auto-organizzato (un lavoratore singolo o un imprenditore che senza organizzazione serve una grande pluralità di clienti) è quasi sempre possibile individuare parti contrattuali distinte, alle quali applicare modelli simili a quelli dei Contratti Collettivi Nazionali, fortemente alleggeriti però nelle parti più analitiche e rigide, con lo scopo di introdurre per tutti le componenti di welfare integrativo a quello pubblico
La rivoluzione tecnologica sembra configurarsi come il precursore dei principali rischi di crisi del lavoro. Quali le ripercussioni che l’intelligenza artificiale avrà sulla società? Non è solo la variabile tecnologica che determina potenziali focolai di crisi. Anche i nuovi modelli organizzativi (es.piattaforme, outsourcing) e l’evoluzione delle competenze umane hanno effetti potenzialmente molto forti sulla domanda di lavoro. Il dibattito tra “ottimisti”, che prevedono di sostituire vecchi lavori con i nuovi, e i “pessimisti”, che vedono invece un declino inevitabile del lavoro umano, non tiene conto del fatto che accadranno entrambe le cose, in territori, ambiti settoriali e generazionali diversi, magari contigui. Non dobbiamo però temere eccessivamente le rivoluzioni tecnologiche: alle volte vengono sovrastimate e toccano solo in superficie le logiche del lavoro, in altri casi possono essere governate e orientate al bene comune
Intelligenza artificiale e lavoro umano possono coesistere o si escludono a vicenda? Non solo coesistono, ma si sviluppano organicamente incrementando la collaborazione tra uomini e “macchine”, progettando organizzazioni che evolvono.
In che modo le aziende devono organizzarsi per rispondere al meglio alle sfide dell’evoluzione digitale? La sfida delle aziende sta nel selezionare e sviluppare competenze innovative, nel riconoscere la necessità di far apprendere in modo continuativo i lavoratori, nel modificare senza sosta il proprio perimetro, l’organizzazione, le dimensioni territoriali. Devono investire molto di più in competenze tecniche e manageriali, puntare su mercati e soluzioni che consentano di realizzare valore aggiunto in misura molto maggiore e, di conseguenza, innescare una dinamica di crescita delle remunerazioni. Senza lavoro “ricco” non c’è futuro nei paesi sviluppati, ormai accade anche nei paesi che 20 anni fa definivamo “in via di sviluppo”
Il mondo del lavoro è pronto a recepire le nuove sfide del futuro in termini di welfare? L’Europa ha sviluppato nel mondo i sistemi di welfare più evoluti e l’Italia è uno dei paesi più avanzati. Purtroppo la stratificazione normativa e contrattuale produce talvolta risultati non ottimali e un’allocazione sbilanciata delle risorse. Occorre incorporare nel welfare il diritto soggettivo alla formazione e all’apprendimento continui. Le parti sociali più rappresentative hanno da tempo intrapreso questa via, occorre che la politica lasci più spazio alla loro iniziativa e consenta il definitivo decollo di un sistema di welfare misto pubblico / privato solidaristico
Far incontrare la domanda con l’offerta di lavoro è sempre più complesso e difficoltoso. Su quali livelli bisogna agire? Riorganizzare i sistemi di formazione professionale potrebbe essere determinante? Come spariscono mestieri e professioni un tempo codificate, così anche il campo del sapere è ormai molto più articolato. Anche nella scuola si ragiona ormai di superare l’insegnamento per materie, privilegiando grandi aree tematiche e le relative tecniche di studio e analisi. Occorre puntare sull’apprendimento continuo, superando la netta distinzione – metodologica e operativa – tra scuola, università e formazione professionale. Ma servirebbe anche una grande Agenzia – il cui ruolo è certamente pubblico ma che in parte può anche essere affidata alle parti sociali – in grado di tracciare la domanda, monitorare le competenze individuali, proporre piani d’azione individuali, aziendali e di settore, orientare le scelte d’incentivazione. In Francia esiste, potremmo mutuare una parte di quell’esperienza.