Avere nel proprio CV un’esperienza all’estero è una nota di merito che risalta agli occhi di ogni human resourcer, ma spesso non è sufficiente a garantire una via preferenziale nell’inserimento lavorativo del giovane laureato. Si perde così la fiducia nel canale nazionale come ‘path to land a job‘, come percorso principale per ottenere un posto di lavoro.
Avanza così l’idea di cercare impiego oltre i confini, magari con l’aiuto di portali europei dedicati come Eures (www.ec.europa.eu/eures) che consentono a giovani e aziende di creare uno spazio d’incontro fra la domanda e l’offerta di stage e lavoro nella Comunità Europea. Le politiche del lavoro EU prevedono inoltre incentivi per la mobilità, finanziando addirittura il viaggio per sostenere la job interview, ovvero il colloquio in vista del primo lavoro all’estero.
Non approfondiamo qui le altre opportunità che la mobilitazione europea offre ai giovani studenti e laureati del Vecchio Continente dal Comenius e Grundtvig, per l’istruzione e la didattica scolastica, all’Erasmus, per l’esperienza universitaria (semestrale o annuale) negli atenei esteri fino al Leonardo, con l’opportunità di effettuare uno stage presso un’azienda dei 27 Paesi dell’Unione.
Terminata la propria esperienza sociale, personale e lavorativa, mentre si chiude la valigia e si effettua il check-in online, iniziano a salire gli stessi dubbi in tutti i giovani italiani che si apprestano a far ritorno a casa: ma con tutte le opportunità che ci sono all’estero, faccio bene a tornare in Italia? Occorre non più solamente incentivare i nostri giovani all’esperienza estera per arricchire il proprio profilo professionale, ma le politiche economiche per il lavoro devono mantenere saldo il cordone ombellicale per non rischiare di perdere i ‘propri figli’, quelli che l’Istruzione Pubblica ha nutrito e cresciuto fino al tremendo impatto con il mondo del lavoro e la precarietà dei rapporti lavorativi dai quali la Politica italiana non ha provveduto a salvaguardarli. Secondo l’Ocse, sommando la spesa sostenuta dallo Stato per consentire a un giovane di raggiungere il diploma in 13 anni di studi (nella migliore delle ipotesi) e successivamente di laurearsi in altri 5 anni, in Italia si spendono 124mila euro pro capite che anziché essere usufruiti in Italia, finiscono con per ‘arricchire’ altri Paesi.
In quest’ottica di protezione degli investimenti nasce a cura l’Assessorato regionale Formazione, Ricerca, Scuola, Università della Regione Lazioil Progetto Torno Subito, un programma di formazione e sperimentazione di esperienze professionali a valenza formativa, rivolto ai giovani con un’età compresa tra i 18 e i 35 anni, residenti o domiciliati nel Lazio da almeno da 6 mesi, sia studenti che laureati, i quali avranno la possibilità di svolgere un’esperienza di studio o lavoro all’estero ad un’unica condizione, ovvero tornare nel nostro Paese per reimpiegare le conoscenze e le competenze acquisite per promuovere lo sviluppo ed il rilancio del nostro sistema economico.
Saranno previste due fasi del progetto: nei primi 8 mesi, il partecipante potrà attivare una specifica attività formativa presso una struttura UE qualificata o realizzare un percorso di work experience presso uno dei soggetti indicati nel bando, mentre la seconda fase, della durata minima di 4 mesi, prevede il reimpiego delle competenze acquisite presso il partner localizzato nel territorio della regione Lazio, assicurando un’indennità mensile di 400 euro. Per la descrizione completa del progetto e tutte le info riguardanti il contributo FSE ammissibile per proposta progettuale, la durata e presentazione delle domande da parte dei candidati, consultate il sito della regione Lazio www.regionelazio.it nella sezione Formazione.
Questo non è che un esempio di buona politica rivolta alle giovani generazioni, un piccolo focolaio di luce ne ‘La Grande Ombra’, storpiando l’ormai celebre successo cinematografico di Paolo Sorrentino, nello scoprire il ritratto grottesco di un Paese assopito nella culla della propria bellezza, dove caste professionali e politiche difendono in maniera astuta i propri privilegi e canali d’ingresso, per cui molti ragazzi e ragazze under 30, decidono di restare fuori dallo Stivale, magari arrangiandosi con lavori e lavoretti extra curriculari per mantersi autosufficienti e nel frattempo cercare un canale d’inserimento meritocratico che il Bel Paese sembra non avere nel proprio Dna. In molti resistono e con capacità e caparbietà entrano nel mondo del lavoro e nel proprio settore dalla porta principale, non facendo ritorno in Italia.
L’eccezione esalta l’italianità, ma quel che ormai spesso sta diventando una regola, finisce per debilitare il nostro Paese, sempre più orfano a causa del Brain Drain, il tristemente e ormai famoso fenomeno dei cervelli in fuga, una perdita di qualità e spinta al cambiamento della classe dirigente che dovrebbe rinnovare l’Italia creando nuove prerogative e le basi per lo svecchiamento del Sistema italiano. Si potrebbe e Si può cantava Giorgio Gaber non senza un certo cinismo nei confronti della “razza italiana che è vivace e battagliera”, ma allo stesso tempo bifronte e conservatrice nel garantire le fondamenta del proprio immobilismo quando “siamo noi che possiamo cambiar tutto a patto che si lasci tutto come era”.