Con le novità introdotte dalla legge cosiddetta della Buona Scuola, che ha reso obbligatorio un monte ore di formazione sul campo per gli studenti delle scuole superiori, il tema dell’alternanza scuola-lavoro è tornato di grande attualità. Una ricerca presentata a metà giungo a cura di Fondazione Sodalitas e La Fabbrica su un campione di 2.400 scuole italiane, ha evidenziato, tra gli altri dati, che l’84% delle scuole ha una collaborazione consolidata con il mondo delle imprese. Abbiamo chiesto a Carlo Antonio Pescetti, Consigliere Delegato di Fondazione Sodalitas, fondata nel 1995 da Assolombarda, di spiegarci a che punto siamo.
Il tema dell’alternanza tra scuola e lavoro ha segnato una accelerazione nel nostro Paese grazie alla legge 107/2015, cosiddetta Buona Scuola, anche su impulso in questo senso di una forte iniziativa di Confindustria. Facciamo un primo tagliando alla legge, seppure di recente applicazione. Cosa funziona e cosa è migliorabile?
Sicuramente l’alternanza scuola–lavoro ha conosciuto un’accelerazione grazie alla cosiddetta riforma della Buona Scuola, Il punto centrale della nuova norma è che ha reso obbligatorie per legge un monte ore da dedicare all’alternanza anche se in modo differenziato tra istituti tecnico-professionali e licei. In questo modo si favorisce in tutte le scuole una presa di contatto reale e continuativa con il mondo del lavoro legittimando, tra l’altro, i dirigenti e le scuole più illuminate e più avanti in questo senso. L’obbligatorietà, inoltre, permette di superare certe resistenze di natura ideologica che in Italia, come in altri Paesi, sopravvivono e a volte svolgono una funzione di freno verso il progresso. Con la legge sulla Buona Scuola si è rotto un equilibrio che aveva ingessato l’evoluzione del rapporto tra scuola e lavoro. C’è da dire, tuttavia, che prima della legge le diverse realtà confindustriali, insieme a tante aziende associate e noi di Fondazione Sodalitas (come il progetto Adotta una Scuola in cui una o più imprese con proprie risorse seguono una specifica scuola), si sono date da fare in questi anni con progetti innovativi sul tema dell’alternanza scuola-lavoro e che adesso, la nuova legge rilancia con maggior forza. Rispetto alle cose che non vanno della Buona Scuola ci sono certamente i ritardi rispetto all’impegno di attivazione di un Registro presso Unioncamere delle imprese disponibili a fare alternanza scuola-lavoro, il sito di riferimento è ancora bloccato. Va semplificata, inoltra la pesantezza burocratica, ancora troppo opprimente e farraginosa. Nel frattempo, tuttavia, le cose sono andata avanti comunque e probabilmente il registro delle imprese sarà fondamentale nella fase in cui l’alternanza scuola – lavoro sarà diffusa su larga scala.
Dalla ricerca appena presentata emerge un grado di soddisfazione delle scuole molto elevato. Siamo sulla buona strada? Servono maggiori investimenti economici?
Per le scuole i progetti di alternanza scuola-lavoro rappresentano un investimento delimitato ma tutt’altro che trascurabile e che le scuole fanno volentieri. Una formazione scolastica completa che abilita gli studenti e futuri lavoratori puntando sulle competenze trasversali e sulle soft skills, non solo amplia e migliora l’offerta formativa delle scuole ma allo stesso tempo permette di far risparmiare un sacco di soldi e risorse alle aziende che su questo non saranno costrette ad investire su neo assunti appena diplomati o neolaureati. Se uno studente arriva dalla scuola totalmente a digiuno sulle competenze trasversali oltre che senza nessun percorso di formazione On The Job, su questo dovrà essere completamente formato. A fronte di questo costo l’azienda preferisce investire in un sistema che predisponga dall’uscita dalle scuole persone già pronte ad entrare nel mondo del lavoro. Si attiva, quindi, una leva provata con il coinvolgimento delle aziende ma il pubblico certamente deve aumentare le risorse e gli investimenti ad oggi ancora scarse in un ambito chiave del futuro lavorativo dei nostri giovani.
Nel rapporto tra scuola e lavoro un tema centrale è la didattica. Oltre l’insegnamento partico e On The Job relativo a determinate mansioni e competenze lavorative contano molto anche le cosiddette competenze trasversali per facilitare l’occupabilità dei giovani. A che punto siamo?
Le competenze trasversali sono fondamentali. Ma dietro questa affermazione c’è una modalità di tipo educativo e non formativo. Queste, infatti, non consistono in un insieme di tecniche, ma servono per facilitare in modo e uno stile di approccio al mondo del lavoro. È un tema soprattutto di sviluppo delle personalità piuttosto che della professionalità. E in quanto tale non può essere forzato. Se non viene direttamente dalle persone, dai giovani, non sarà mai efficace. In questo caso un comportamento appreso non è il tuo, ma bisogna imparare dalla pratica. Nelle scuole inglesi come in quelle tedesche, per esempio, c’è un larghissimo uso del dibattito e del teatro. Si tratta di modalità per allenare il confronto di opinioni simulando un confronto tra accusa e difesa in tribunale. Vi sono gruppi che preparano l’accusa e altri che preparano la difesa, imparando cosi i ruoli, affinando le proprie capacità argomentative, reattive oltre all’uso del corpo. Ci sono molte cose che si potrebbero imparare ma la nostra scuola fatica ad introdurre metodi innovativi come quelli appena descritti a causa di programmi didattici molto rigidi che di fatto “si mangiano” tutta la creatività degli inseganti i quali hanno pochissimi spazi per iniziative simili a quelle inglesi e tedesche. Questa componente della didattica, che attiene direttamente al potenziamento delle cosiddette competenze trasversali sono molto importanti e tra l’altro generano soddisfazione tra gli studenti come tra gli insegnati.
È importante valutare anche il grado di soddisfazione dei ragazzi verso una nuova cultura del lavoro fondata sull’intraprendenza. I primi riscontri in questo senso sono incoraggianti?
Il lavoro ha sempre avuto come componente l’intraprendenza. Ciò che manca è la cultura del rischio. Nel momento in cui si conquista la fiducia e la capacità di prendere dei rischi il valore dell’intraprendenza assume il suo significato pieno. In altre parole è la tolleranza del rischio l’elemento vincente. In una cultura come la nostra i genitori non permettono ai propri figli di imparare a rischiare perché vogliono proteggerli dal rischio della valutazione. Pensare che nella nostra scuola le valutazioni sono state osteggiate da molti come elemento di disuguaglianza, mentre è un fatto necessario per stimolare le capacità di ciascuno ad abituarsi al rischio, fa capire i nostri ritardi culturali in questo senso. Dobbiamo insegnare la tolleranza al rischio. Da questo punto di vista i riscontri non sono incoraggianti, ma alla prova dei fatti bisogna vedere quanto è forma e quanto è sostanza. Una delle caratteristiche trasversali che i ragazzi dovrebbero avere, per esempio, è la capacità di lavorare in gruppo. Questo vuol dire prendersi il rischio di fare proposte vedendosele contestate e imparare ad accettare il parere degli altri, essere pronti ad argomentare una risposta diversa e, ad un certo punto, assumersi la responsabilità di prendere posizione, di decidere. I ragazzi, va detto, capiscono benissimo che il mondo sta evolvendo molto velocemente e capiscono che devo adattarsi altrettanto velocemente. Questa consapevolezza, probabilmente, è il segnale principale che fa ben sperare per il futuro.
Con le iniziative di alternanza scuola- lavoro ci sarà un forte impatto sulle imprese per assorbire milioni di studenti in attività di formazione sul campo. Il sistema produttivo italiano è in grado di assorbire questa enorme massa di studenti oppure bisognerà attivare anche percorsi alternativi come le “simulazioni” così come previsto dalla Legge sulla Buona Scuola?
Il sistema può assorbire qualunque cosa perché i giovani sono pochi. Sarò necessario nel prossimo futuro, inoltre, importare un numero significativo di giovani altrimenti il nostro sistema non regge. Abbiamo circa 450 mila giovani che ogni anno si affacciano al mondo del lavoro e tra qualche anno non sarà un problema assorbirle. Le imprese da questo punto di vista devono essere attrezzate, devono avere degli schemi organizzativi adatti, In questo senso, ripeto, non vedo problemi di fondo, il punto è prevalentemente organizzativo e amministrativo. È necessario, però, venire incontro al mondo delle imprese facilitandogli la vita. È probabile che all’inizio di questo processo prevarranno le simulazioni rispetto ai progetti reali di apprendimento sul campo e nelle aziende ma questo comunque sarà un fatto positivo. Un sistema di alternanza scuola-lavoro coinvolge un complesso network che riguarda non solo il sistema produttivo, ma coinvolge anche le associazioni, il terzo settore, le istituzioni locali che coinvolti nel loro insieme daranno un contributo decisivo. C’è poi il tema dell’apprendistato professionalizzante e del sistema duale, ma per questo ci sarà bisogno di un’altra intervista.