Roma, 12 Febbraio 2016 – Giovani e lavoro. Ciò che più conta per cogliere tutte le opportunità che il nuovo mondo del lavoro offre alle giovani generazioni è l’atteggiamento mentale. Si tratta di un’adeguata predisposizione culturale, prima di ogni altra cosa, che i giovani devono necessariamente far propria per ottenere da questo mondo del lavoro, e non da quello ideale e idealizzato, le migliori opportunità per farcela. Ma in cosa consiste questa “giusta mentalità”?
Il Libro, Nove Mosse Per il Futuro – Il lavoro che cambia spiegato ai giovani, di Giuseppe Biazzo (Amministratore Delegato di Orienta S.p.A., una delle principali Agenzie per il Lavoro italiane) ed. Guerini Next, da poco in libreria e online, si rivolge direttamente alle nuove generazioni per spronarle a comprendere meglio la realtà del mondo del lavoro di oggi, a come interpretarla, allo scopo di aumentare le possibilità di trovare un lavoro e autorealizzarsi. L’ambizione è tentare di incidere sulla dimensione culturale, e dunque pratica, del rapporto dei giovani con il mondo del lavoro.
“Il libro parla soprattutto alla dimensione individuale dei giovani piuttosto che a quella collettiva – spiega Giuseppe Biazzo – Non perché quest’ultima sia ritenuta meno importante, ma perché la condizione individuale è quella in cui, ad oggi, sembrano più soli. Nell’ultima “mossa” del libro, tuttavia, si parla anche di politica. La dimensione individuale non vuol dire, infatti, individualismo. E’ importante focalizzarsi su quello che possiamo fare ora e individualmente, ma è altrettanto importante sapere cosa chiedere alla politica e alle Istituzioni affinché le potenzialità e il talento di ciascuno siano messi nelle condizioni migliori per esprimersi. Per questa ragione, otto “mosse” sul futuro del lavoro sono dedicate alla micro-sfera individuale e l’ultima alla macro-sfera collettiva. Diciamo ai nostri giovani (e alle loro famiglie), però, che dobbiamo tutti adeguarci ai tempi che cambiano se vogliamo davvero farcela nel lavoro”.
Ecco le “nove mosse” per il futuro dei giovani nel mondo del lavoro.
1. L’atteggiamento mentale: il carattere. Il primo passo è capire davvero cosa cercano le aziende e agire di conseguenza. Ciò che conta sono soprattutto i valori umani come l’impegno, il sacrificio, la fatica, l’intraprendenza. Conta, in altre parole, l’etica del lavoro, che va messa al primo posto.
2. Tutti i lavori hanno pari dignità: il lavoro intellettuale e il lavoro manuale.Solo il 5,8% dei giovani italiani tra i 25 e i 29 anni ha scelto un lavoro manuale contro il 29,3% dei cittadini stranieri. Il lavoro artigiano e manuale è tutt’altro che un’occupazione di «serie b»: richiede abilità manuali, competenze tecniche, conoscenze intellettuali, anche nuove e di tipo digitale di grandissimo valore professionale. Mestieri con prospettive di mercato capaci di appagare da molti punti di vista le aspettative di molti giovani. Il lavoro manuale, quindi, va considerato con lo stesso metro di giudizio del lavoro intellettuale. Molti giovani, per fortuna, lo stanno facendo.
3. Trovare lavoro è un lavoro, non si può improvvisare. Sviluppare l’occupabilità nei confronti del mercato del lavoro reale con metodo e razionalità senza farsi travolgere dall’incertezza emotiva tipica di questa fase. Cercare lavoro è un “lavoro” faticoso e richiede il rispetto di alcune regole e prassi fondamentali. Sono centrali le cosiddette soft skills, ossia le “competenza umane”. E poi, mai aver paura di iniziare dal gradino più basso e meno gratificante. Spesso, molti grandi carriere sono partite così: tenacia, pazienza e umiltà sono i valori di riferimento.
4. A che serve il “pezzo di carta”? “Non andate all’università, fate gli idraulici”. Così parlò l’eclettico ex sindaco di New York, Michael Bloomberg. La questione dell’utilità della laurea ai fini occupazionali è molto dibattuta. Ma ciò che conta davvero è il tipo di percorso universitario scelto. Laurearsi non deve essere una “moda” o una scelta per accondiscendere le aspettative di rivalsa sociale di mamma e papà. Per evitare anni di frustrazioni conta capire se le motivazioni di fondo sono reali e dopodiché, sapere scegliere la giusta facoltà che permette un vero sbocco lavorativo. E poi, la laurea non è l’unico sbocco di studio. In mezzo c’è anche altro.
5. Cittadini e lavoratori del mondo. La nostra casa si è allargata e oggi i suoi confini coincidono con il mondo intero. Questa è l’ottica reale delle nuove generazioni, sia nella vita, sia nel lavoro. Almeno il 60% degli studenti è pronto a cogliere le opportunità in quest’ottica. Non si chiama emigrazione, si chiama “mobilità”.
6. La rivoluzione digitale del lavoro. Siamo nel bel mezzo di una vera e propria rivoluzione digitale che sta cambiando il nostro modo di produrre, di lavorare, di socializzare, di consumare, di comunicare, di viaggiare, di informarci e in definitiva di vivere. Una rivoluzione che produce nuovo lavoro: entro il 2020 si prevedono tra i 730 mila e 1,3 milioni di profili digitali vacanti in Europa.
7. Il nuovo tricolore del lavoro: verde, bianco e marrone. Per indicare interi settori lavorativi spesso si ricorre ai colori. Quelli che abbiamo scelto per i prossimi anni, oltre al lavoro digitale, sono tre.
– Il verde (green jobs), indicano i lavoratori della cosiddetta green economy, ossia un modello di produzione amico dell’ambiente. Un settore che conta su circa 3 milioni di addetti e che ha coinvolto solo nel 2014 il 70% delle nuove assunzioni in ricerca e sviluppo. Negli ultimi 5 anni la quota complessiva di green jobs è passata dal 10,9 al 13,3%. Un trend che segna una crescita costante.
– Il bianco (white jobs), indica i lavoratori che offrono servizi alla persona nel campo dei servizi di assistenza socio-sanitari. In Italia gli addetti sono oltre 2,5 milioni e si prevede che entro il 2020 si passerà a 3,1 milioni.
– Il marrone (brown jobs), sono i nuovi lavoratori del settore dell’agricoltura che sta tornando di moda. Stiamo vivendo una riscoperta dell’agricoltura anche grazie al contributo entusiasta di molti giovani. Si prevede che entro il 2030 il settore creerà oltre 200 mila nuovi posti di lavoro.
8. Lavorare per se stessi. Non c’è solo il lavoro dipendete. Una delle novità principali del nuovo mercato del lavoro è la crescita costante del lavoro autonomo rispetto a quello dipendente. Sono 5,5 milioni i lavoratori autonomi in Italia. Il 15% dei nostri occupati nella fascia di età tra i 15 e i 24 anni è imprenditore o lavoratore autonomo contro il 6,5% della media europea. In Europa la metà dei giovani europei aspira ad un lavoro autonomo. Una forte spinta in questi anni alla crescita del lavoro autonomo è stata data dalle nuove professioni con partita Iva e dalle start up soprattutto tecnologiche. Sempre di più la scelta di lavorare per se stessi rappresenta una concreta possibilità di sbocco per moltissimi giovani intraprendenti.
9. Cosa chiedere alla politica. Il lavoro è cambiato e il mito del posto fisso non esiste più. La flessibilità (da non confondere con la precarietà) è il nuovo concetto guida del lavoro dei nostri tempi e non si può pensare di esorcizzarla sperando in un contratto a tempo indeterminato. Quest’ultimo, infatti, non garantisce affatto il “posto fisso”. La flessibilità riguarda tutto e tutti. In questo scenario, allora, ciò che bisogna rivendicare è un nuovo welfare della flessibilità. Ossia, un sistema di tutele basato essenzialmente su politiche attive dal lavoro che facilitano la collocazione e l’occupabilità dei giovani in tutto il loro percorso lavorativo e misure di sostegno al reddito (non in una logica assistenziale) nei periodi di non lavoro.