“Non andate all’Università, fate gli idraulici”. Questa l’esortazione a sorpresa che il sindaco di New York, Micheal Bloomberg, rivolge ai giovani durante la partecipazione ad una trasmissione radiofonica. E la dichiarazione fa subito il giro del mondo. In realtà, l’ecclettico primo cittadino della “Grande Mela” consiglia la professione idraulica soprattutto agli studenti poco brillanti e con voti scarsi, e che pur di prendere una laurea purchessia, investono ingenti capitali (fino a 50 mila dollari) che non garantiscono una prospettiva occupazionale all’altezza delle aspettative. Perché buttare soldi e tempo in un’attività inutile? Ecco, allora, il consiglio di Bloomberg: “Meglio diventare idraulici: questa è la vera scommessa vincente per molti giovani americani”.
La questione dell’inutilità della laurea ai fini occupazionali (in realtà di alcune facoltà e soprattutto per chi affronta gli studi con scarso impegno e rendimento) si dibatte da tempo anche in Italia. Come non ricordare le parole del Ministro Fornero che incitava i giovani a non essere troppo “snob” nei confronti dei mestieri manuali e le dichiarazione del suo vice, Michel Martone, che puntava il dito contro i fuoricorso definendoli “sfigati”?
Il tema è molto serio e non può essere rinchiuso in una battuta, seppur efficace. In gioco c’è il futuro lavorativo e professionale di un’intera generazione. Come più volte pubblicato su KONGnews, esistono tanti settori produttivi fatti prevalentemente di lavoro manuale e artigianale che lamentano la scarsità di manodopera. E’ un fatto che in questi anni le giovani generazioni abbiano privilegiato professioni e lavori di tipo “intellettuale” a scapito dei mestieri manuali. Tantissime ricerche fotografano in termini statistici quello che ogni giorno riscontriamo nei nostri rapporti quotidiani. E probabilmente, il corto circuito tra il lavoro dei sogni che non c’è e il lavoro reale che c’è e non piace, ha prodotto il fenomeno sociologico dei “Neet”, ossia quei circa 2 milioni di giovani che né studiano e né lavorano.
E’ necessaria una svolta di tipo culturale, a partire già dalle famiglie, prima ancora che dai ragazzi. Laurearsi è importante soprattutto per la crescita della persona e non è mai un investimento sbagliato. Mai! L’errore è pensare che con la laurea in tasca e con il titolo da dottore da esibire si abbia diritto ad una carriera lavorativa di successo. Sveglia ragazzi, questa connessione non esiste! E le ragioni sono soprattutto due, una di natura logica e l’altra di tipo patologico. Quello che conta non è solo il titolo, che in diversi casi non certifica nulla. Ma le capacità effettive di stare nel mondo del lavoro e la quantità di persone che vogliono fare la stessa professione. Se ci ostiniamo a puntare su lavori già saturi e che evidenziano un elevato numero di aspiranti a fronte di scarsi posti a disposizione allora è certo che si va incontro a cocenti delusioni e frustrazioni. La ragione patologica, invece, risiede nella scarsa, e in alcuni casi inesistente, logica meritocratica che dovrebbe governare l’accesso a determinate professioni e lavori. Da noi è più facile che il figlio di un avvocato diventi avvocato, piuttosto che il figlio di un operaio acceda alla carriera forense. Questo è riscontrato anche in un’approfondita ricerca della Confindustria di qualche anno fa.
Riscopriamo, quindi, le professioni manuali che possiamo svolgere anche con la laurea in tasca, perché no? Puntiamo sui settori ad alto potenziale di sviluppo, come il digitale, la green economy e i servizi alla persona, e puntiamo di più sulle facoltà che danno lavoro e una carriera. Realizziamo finalmente una svolta meritocratica per l’accesso alle professioni e al mondo del lavoro.
Uno dei punti critici denunciati da Almalaurea nell’inserimento dei laureati nel mondo del lavoro è quello della mancata corrispondenza tra le caratteristiche del capitale umano offerto dai lavoratori e quello richiesto dalle imprese. Nel nostro Paese mancano all’appello 19.700 laureati in Ingegneria, 14.600 in Economia-statistica, 7.800 in medicina, 3.800 in Giurisprudenza, ma nel contempo si registra un surplus di 15.100 laureati in Scienze Politiche, 10.200 in lettere, 7.000 in Lingue, 4.400 in Psicologia.
Una recente ricerca di Randstad, inoltre, ha evidenziato come in Svezia il 40% degli adolescenti dichiara di prevedere un lavoro contenente attività manuale, mentre in Italia dà la stessa risposta solo il 5%. Forse, però, qualcosa sta cambiando. Secondo una recente ricerca della Coldiretti, curata da SWG, il 32% dei giovani italiani pur di lavorare farebbe lo spazzino, e la percentuale sale al 49 % per quelli in cerca di lavoro e scende al 19% tra gli studenti.
Fondamentale, a questo punto, che lo Stato faccia la sua parte. Basta limitarsi a dire che ci sono molti lavori che i giovani non vogliono più fare! E’ arrivato il tempo di mettere in campo efficaci politiche attive del lavoro che facciano realmente incontrare quei giovani che questi lavori vogliono farli davvero con le aziende disposte ad assumerli e che lamentano la scarsità di “volenterosi”. Altrimenti, le fila di coloro che pensano che i dati che parlano di lavori manuali non coperti siano solo “panzane” si ingrosseranno sempre di più.