Sono 150 i tavoli di crisi ancora aperti al Mise, il Ministero dello sviluppo economico. Il primo, di lunga data, è quelo dell’ILVA, che riguarda oltre 10 mila dipendenti che vivono in una situazione di grande incertezza. C’è poi la vicenda della multinazionale Whirlpool, ove sono a rischio 430 posti; di ALCOA, fabbrica di produzione di alluminio primario, oramai in mano al gruppo Syder Alloys, la cui produzione stenta a ripartire; della multinazionale Jabil, che in Italia ha annunciato il licenziamento di 350 dipendenti su 700.
Ci sono inoltre le importanti vertenze, cogestite con altri ministeri, di Alitalia, Autostrade, Air Italy. Molte altre aziende sono più nell’ombra ma non per questo le loro situazioni sono meno gravi: Piaggio Aerospace, con 500 persone in cassa integrazione, Jindal di Piombino con 2 mila licenziati in attesa di riassunzione, la Bekaert di Figline Valdarno, con 224 persone in cassa integrazione.
Un caso eclatante è quello dell’ex Embraco di Riva di Chieri (Torino): produceva compressori per frigoriferi, è passata in mano a Ventures, cordata italo-cinese-israeliana, che avrebbe dovuto produrre robot per la pulizia dei pannelli solari ma non ha mai iniziato la nuova produzione e i 400 operai si trovano, da dicembre, senza stipendio e contributi mentre la cassa integrazione scadrà a luglio.
Oggi si discute anche il futuro della Jp Industries, nelle Marche, che ha annunciato un piano che prevede 345 esuberi. Insomma una situazione drammatica che interessa trasversalmente tanti settori, dalla grande distribuzione organizzata alla manifattura, all’alimentare, coinvolgendo nomi noti e dal forte valore simbolico come Pernigotti, Hag, IperDi, Conad. Quest’ultima con l’acquisizione del gruppo francese Auchan, è diventato il numero uno della grande distribuzione in Italia ma ora dichiara lavoratori in esubero e chiede la cig per 5.300 dipendenti.
150 situazioni di crisi e rischio disoccupazione per circa 250 mila lavoratori. Sono cifre indicative che però non possono essere considerate ufficiali perché -dicono i sindacati- al ministero manca un elenco aggiornato e l’ingresso continuo di nuove vertenze unito alla difficoltà di definire del tutto chiuse quelle aperte da tanti anni complicano la situazione, che già non era rosea.