Milano, 20 Settembre 2016 – Se si vanno ad osservare alcuni aspetti del rapporto dei dipendenti italiani in età da “Millennial” col mondo del lavoro, ciò che emerge non è il ritratto di una generazione tanto insolita e diversa da quelle che l’hanno preceduta. I lavoratori più giovani, infatti, non si differenziano dagli altri per passione (Millennials 15%; altri 13%) e motivazione (Millennials 14%; altri 11%) e come i colleghi più grandi ripongono grande attenzione alle opportunità di crescita (Millennials 44%; altri 39%), a discapito dello sviluppo delle competenze e delle iniziative individuali.
Secondo loro l’azienda ideale è quella che pensa innanzitutto alle opportunità di crescita dei suoi dipendenti e, in seconda battuta, allo sviluppo delle capacità dei singoli. Ma ciò che sorprende è che la maggior parte dei Millennials e dei colleghi più grandi concordino sul fatto che le organizzazioni, in futuro, non debbano avere una struttura meno gerarchica: solo l’8% dei più giovani, infatti, si esprime a favore di un cambiamento, il 7% per i dipendenti più anziani. Under e over 30 mostrano anche lo stesso livello di malcontento per la propria situazione professionale. Poco più di un terzo sia dei Millennials che dei colleghi più anziani ritiene che l’azienda presso cui lavora sia in grado di appagare le proprie ambizioni e desideri.
Gli italiani, infine, sono tra coloro che registrano le percentuali più basse riguardo al benessere lavorativo: il 25% degli under 30 si sente rispettato dai propri manager (35% è invece la percentuale media rilevata nei Paesi oggetto d’indagine); solo per il 21% del campione i propri superiori prestano attenzione alla formazione dei giovani in azienda (dato di dieci punti più basso rispetto alla media delle altre nazioni); meno del 20% ritiene di lavorare in un ambiente stimolante, contro il 26% degli altri 14 Paesi; soltanto il 15% è soddisfatto dell’equilibrio tra lavoro e vita personale.
E le imprese italiane saranno in grado di trattenere i talenti? Lo scetticismo dei Millennials è davvero alto (soltanto 21% in Italia si mostra fiducioso a fronte di una media del 32% rilevata negli altri Paesi) e si accompagna ad un generale senso di insicurezza verso il proprio futuro in azienda.