Meglio ricercati che ricercatori? I precari del lavoro che guarderanno il film “Smetto quando voglio”, uscito il 6 febbraio nelle sale, un po’ se lo chiederanno di certo. Scherzi a parte, la pellicola di Sydney Sibilia, regista salernitano, classe 1981, porta sul grande schermo in modo divertente (e allo stesso tempo drammatico) uno dei problemi che più pesano sull’occupazione in Italia, il precariato, ma dice: “Il film è una commedia acida, parodistica e ultra-citazionista, in cui il dramma sociale viene ripreso solo ed esclusivamente come espediente comico”.
La trama – Pietro, interpretato da Edoardo Leo, è un laureato in Neurobiologia che lavora come ricercatore all’università di Roma guadagnando 500 euro al mese. Quando la commissione non gli concede il finanziamento per la sua nuova ricerca, e anzi, lo licenzia causa tagli, deve trovare un modo per sopravvivere. Dopo un pianto disperato, ecco che gli si accende una lampadina: se quello che sa fare è produrre molecole perché non usare le sue conoscenze per inventare una cosiddetta smart drug? Si tratterebbe di una nuova droga che, in quanto ancora sconosciuta, non comparirebbe nell’elenco delle sostanze vietate del Ministero della Salute e il cui spaccio dunque, almeno fino alla sua scoperta, non sarebbe del tutto illegale.
Pietro ha bisogno di aiutanti e chiama a rapporto alcuni amici ed ex-colleghi tra le migliori menti che risiedono in città: Alberto, laureato in Chimica Computazionale, ma occupato come lavapiatti in un ristorante cinese, Mattia e Giorgio che, nonostante sappiano parlare correntemente latino, greco, sanscrito ed etrusco, lavorano a una pompa di benzina di proprietà di un cingalese, Andrea, antropologo, che sta disperatamente cercando di farsi assumere da uno sfasciacarrozze che non accetta laureati, Arturo, archeologo all’undicesimo anno di precariato e Bartolomeo, laureato in Macroeconomia Dinamica che, per guadagnare un po’ di soldi, si è dato al poker sostenendo di poter contare le carte.
La droga che riescono a produrre risulta la migliore in circolazione e in poco tempo la voce si sparge nei locali e nelle discoteche facendo guadagnare al gruppo un mucchio di soldi. Peccato che la banda non sarà in grado di gestire la nuova fortuna accumulata e in poco tempo inizieranno i problemi. Edoardo litigherà violentemente con la compagna (Valeria Solarino) che lavora come assistente sociale in una comunità per il recupero di tossicodipendenti, e verrà ricattato da Murena (Neri Marcorè) boss della droga che non vuole perdere il controllo dello spaccio nel basso Lazio.
L’idea – “La prima fonte di ispirazione è stato un trafiletto su un quotidiano che titolava Quei Netturbini con la laurea da 110 e lode – racconta il regista a proposito della nascita del lungometraggio – Due dipendenti dell’Amsa laureati che all’alba, mentre spazzano il marciapiede, discutono della Critica della Ragion Pura è stata la prima, e per molto tempo l’unica, immagine del film”. Poi Sibilia ha osservato attentamente la realtà e ha scoperto un’Italia piena di queste storie, piena di ragazzi quasi quarantenni privi di prospettiva, piena di cervelli ai margini della società. E così ecco l’idea per la pellicola: una banda di geni che usano la neurobiologia, il latino classico, l’antropologia e la macroeconomia per ribellarsi (e iniziare, finalmente, a fare soldi) infilandosi in uno buco legislativo tutto italiano. Se la caveranno? Se il dilemma del giusto/sbagliato viene superato in fretta, “Ho abbandonato l’etica quando mi hanno cacciato a calci in culo dall’università”, dice Alberto a un certo punto del film, dalla giustizia invece non sarà così facile scappare (e forse, alla fine, neanche dalla propria coscienza). C’è una soluzione al precariato? Nel finale del film (che per ovvie ragioni non vi sveliamo) ci abbiamo visto un certo sarcasmo che fa non poco riflettere (e anche poco sperare in una risposta positiva).