I dipendenti italiani ottengono migliori risultati lavorando in gruppo che individualmente, ma pochi lavoratori pensano che lo spirito collaborativo sia innato: la capacità di fare squadra si sviluppa soprattutto con l’impegno, l’esperienza, la conoscenza dei colleghi e l’acquisizione di specifiche competenze “sociali”. La tecnologia, attraverso la diffusione di PC, tablet, smartphone e software innovativi per comunicare senza limiti di spazio e tempo, apre nuove opportunità per il lavoro in team. Ma se la collaborazione è incoraggiata dalle aziende, non tutti i datori di lavoro oggi la supportano con strumenti adeguati.
Lo spiega il Randstad Workmonitor, l’indagine realizzata nel terzo trimestre 2014 da Randstad, secondo player al mondo nei servizi di risorse umane, che ha monitorato l’atteggiamento dei lavoratori verso la collaborazione sul posto di lavoro in 33 Paesi del mondo. La popolazione di riferimento dello studio (oltre 400 interviste in Italia) è costituita da persone con età compresa tra i 18 e i 65 anni che lavorano per almeno 24 ore alla settimana e che percepiscono un compenso economico per questa attività.
“In Italia si denota una crescente attenzione verso il lavoro di gruppo, di cui sia lavoratori che aziende riconoscono la capacità di migliorare le performance – afferma Marco Ceresa, AD di Randstad Italia -. Merito della maggiore disponibilità dimostrato dai dipendenti ad imparare le buone pratiche della cooperazione tra i colleghi. E delle aziende che oggi incoraggiano la collaborazione, anche se ai datori di lavoro viene chiesto un ulteriore investimento per la formazione del team, sia in termini di risorse che di tempo dedicato. Di sicuro, è finito il tempo della competizione esasperata tra i dipendenti, sostituito da un atteggiamento più attento e rispettoso del lavoro di squadra. Una nuova prospettiva culturale imposta anche dall’avanzamento tecnologico che rende il lavoro sempre più libero da vincoli di spazio e tempo. Se da un lato l’innovazione richiede una maggiore responsabilizzazione delle attività dei singoli, dall’altro sostiene la collaborazione tra colleghi grazie a nuovi strumenti per la comunicazione”.
Collaborativi si diventa – Il 69% dei lavoratori italiani ottiene migliori performance lavorando in gruppo piuttosto che in modo individuale. Una percentuale superiore alla media globale (60%), che vale all’Italia il settimo posto tra i 33 Paesi oggetto di indagine. E così cresce l’attenzione vero il lavoro in team: il 67% dei lavoratori italiani oggi passa più tempo di 5 anni fa collaborando coi colleghi. Una tendenza comune al resto del mondo, ma in Italia la percentuale è superiore alla media (61%). Solo poco più di un italiano su tre (37%) pensa che la collaborazione non sia richiesta nel sua settore di lavoro.
Eppure, esclusivamente il 56% dei dipendenti italiani ritiene le persone naturalmente collaborative, come se si trattasse di una dote naturale che assicura una partecipazione spontanea (una risposta che colloca l’italia agli ultimi posti nel ranking mondiale, in 27ª posizione).
Una prospettiva che, nonostante l’importanza riconosciuta alla collaborazione sembra indicare nel lavoro di team soprattutto una capacità da sviluppare nel tempo, con la giusta pratica ed esperienza sul campo. L’Italia e pochi altri Paesi latini (nello specifico Argentina, Cile, Turchia, Messico e Spagna, si veda il grafico n.1) si distinguono dal resto del mondo: sono quelli in cui l’effetto positivo del team sul posto di lavoro supera ampiamente l’idea che la collaborazione sia una tendenza “congenita”.
Cosa serve per collaborare – E’ convinzione comune in Italia che lavorare in team richieda due componenti fondamentali: specifiche competenze sociali e una consapevolezza delle esigenze degli altri componenti del gruppo per riuscire a trovare la strada giusta per operare insieme. L’83% degli italiani pensa che siano necessarie specifiche “social skills” alla collaborazione sul luogo di lavoro. E la stessa percentuale pensa sia essenziale conoscere le motivazioni che spingono i colleghi a aiutarsi reciprocamente per creare il giusto spirito di collaborazione (87%). Mentre le valutazioni individuali non sono considerate un ostacolo a fare: solo una minoranza dei lavoratori italiani (il 44%) ritiene che finché queste saranno basate su performance dei singoli anziché di gruppo, la collaborazione non porterà alcun valore aggiunto.
La quasi totalità, ben il 91% dei lavoratori, pensa che la collaborazione cresca di importanza con l’avanzamento della tecnologia, una percentuale superiore alla media globale (87%). Ben vengano i device e software che permettono di collaborare a distanza e tutti gli strumenti innovativi per lavorare da remoto, sono opportunità e non ostacoli allo sviluppo della cooperazione.
Con un’avvertenza: nonostante tutto, il 78% degli italiani riesce a collaborare meglio lavorando faccia a faccia, piuttosto che in team virtuali o lavorando con colleghi dislocati in sedi diverse. E su questo aspetto, comunque, le aziende possono fare molto: solo il 55% dei dipendenti riconosce che il datore di lavoro provvede a tutti gli strumenti e alla formazione necessari a facilitare il lavoro in team virtuali.
Il ruolo dei datori di lavoro – Le aziende come sono attrezzate? Nel giudizio dei dipendenti sostengono il lavoro di gruppo, ma i risultati non sono ancora del tutto soddisfacenti. Il 72% dei lavoratori riconosce che i processi e le pratiche della loro organizzazione incoraggiano la collaborazione anziché la competizione individuale. E per il 61% questa viene riconosciuta e premiata nell’organizzazione (in linea con la media globale 62). Ma non è sufficiente. Per l’81% dei dipendenti il datore di lavoro dovrebbe passare più tempo a promuovere la collaborazione (una percentuale ben superiore alla media globale, pari al 74%).
L’importanza della diversità – E’ ormai ampiamente riconosciuto che integrare elementi diversi nel gruppo sia un valore aggiunto per ottenere migliori risultati. Per il 68% dei lavoratori italiani, un team con membri diversi ottiene prestazioni migliori di una squadra con membri simili (73% media globale). Ma cosa significa esattamente “diversità”? Avere in squadra persone differenti per esperienze di lavoro, competenze e capacità varie (secondo l’82%), ma anche età, sesso e background culturale (74%). Anche in questo caso, l’azienda potrebbe fare meglio: solo per il 59% dei dipendenti il datore di lavoro fornisce strumenti e formazione per facilitare il lavoro in diverse squadre.