La decisione resa dalla Suprema Corte di Cassazione (sentenza n. 22396 del 21.05.2013, depositata in data 1°.10.2013) offre l’occasione di soffermarsi ad analizzare taluni importanti principi di diritto in ordine ai limiti di risarcibilità dei danni non patrimoniali cagionati ad una persona giuridica che, anche alla luce della decisione in esame, ben possono ormai considerarsi alla stregua di ius receptum nel nostro ordinamento.
Più precisamente, nel caso sottoposto all’attenzione degli Ermellini un collaboratore a progetto aveva inoltrato al direttore generale ed al legale rappresentante della società committente una e-mail contenente epiteti ed espressioni gravemente ingiuriose, in particolare apostrofando la stessa legale rappresentante della Committente come “mentecatta e pazzoide” ed accusando la società di essere una ditta “dalla quale tutti i dipendenti fanno a gara per andarsene”.
La Corte di Cassazione ha anzitutto sancito la legittimità del recesso per giusta causa, ai sensi dell’art. 67 del D. Lgs. 276/03, della società Committente, facendo applicazione, ai fini della valutazione dei presupposti atti ad integrare la giusta causa, dei principi elaborati dalla stessa giurisprudenza di legittimità in materia di licenziamento per giusta causa di un lavoratore subordinato.
Ma il profilo più importante della decisione in commento consiste certamente nella fissazione dei limiti posti dalla Suprema Corte in materia di risarcimento dei danni non patrimoniali cagionati ad una persona giuridica: non si tratta, a dire il vero, della prima pronunzia resa dagli Ermellini sotto in profilo in commento, ma è certamente significativo constatare che la sentenza che ha definito il caso in questione abbia ulteriormente confermato come anche la persona giuridica – e non solo la persona fisica – possa risentire di un nocumento alla propria immagine e, ricorrendo i presupposti che esamineremo di qui a breve, abbia diritto ad un congruo ristoro dei pregiudizi patiti.
Ed invero, secondo l’orientamento ormai consolidato della Suprema Corte, allorquando il fatto lesivo incida su una situazione giuridica della persona giuridica o dell’ente che sia equivalente ai diritti fondamentali della persona umana garantiti dalla Costituzione (e, alla luce, da ultimo anche della decisione in esame, fra tali diritti rientra l’immagine della persona giuridica o dell’ente) e, in particolare, nel caso in cui si verifichi la lesione dell’immagine “è risarcibile, oltre al danno patrimoniale, se verificatosi, e se dimostrato, il danno non patrimoniale costituito – come danno c.d. conseguenza – dalla diminuzione della considerazione della persona giuridica o dell’ente nel che si esprime la sua immagine, sia sotto il profilo della incidenza negativa che tale diminuzione comporta nell’agire delle persone fisiche che ricoprano gli organi della persona giuridica o dell’ente e, quindi, nell’agire dell’ente, sia sotto il profilo della diminuzione della considerazione da parte dei consociati in genere o di settori o categorie di essi con le quali la persona giuridica o l’ente di norma interagisca.” (Cass. 12929 del 4.06.2007).
Ancora più di recente, la Corte di Cassazione ha generalizzato tale principio, sottolineando che “anche le persone giuridiche possono essere lesi in quei diritti immateriali della personalità, che sono compatibili con l’assenza di fisicità, quali i diritti all’immagine, alla reputazione, all’identità storica, culturale e politica”(Cass. 4542 del 22.03.2012).
La decisione in commento – come detto – si pone nel solco dei citati precedenti e costituisce un importante ed ulteriore tassello sotto il profilo relativo ai limiti di risarcibilità dei danni non patrimoniali cagionati ad una persona giuridica.
Nel caso in esame, la Corte di Cassazione, in applicazione dei principi di diritto sopra esposti, ha correttamente escluso che la società Committente avesse subito un danno alla propria immagine, sull’assorbente rilievo che la e-mail ingiuriosa del collaboratore a progetto era destinata unicamente ad organi della stessa società (il direttore generale ed il legale rappresentante) ed, in considerazione di ciò, non era idonea a provocare, nei confronti dei terzi estranei alla compagine sociale, alcun nocumento di sorta.
Pertanto, e concludendo sul punto, si può rilevare che la decisione in esame, se da un lato conferma la configurabilità anche per le persone giuridiche e, più in generale, per gli enti collettivi, di una immagine professionale da tutelare in via risarcitoria, dall’altro fissa opportunamente dei rigidi paletti finalizzati ad integrare un efficace “filtro” selettivo nei confronti di indiscriminate istanze risarcitorie.