Vorrei cambiare i miei occhiali da vista, perché sono convinta di vederci sempre meno. Vorrei poi provare a mettere le lenti a contatto, ma non so bene da dove partire. A risolvere molti, moltissimi, problemi come questi, ci pensano gli ottici-optometristi: non sono “solo” ottici, non sono oculisti e neanche ortottisti (assistenti dell’oculista, ndr). Ma allora chi sono? Cosa hanno studiato? Che lavoro svolgono? Andrea Afragoli, ottico optometrista da 25 anni e presidente provinciale di Federottica, ci aiuta a “vederci meglio”.
Uno, dieci, centomila lavori – L’ottico-optometrista si occupa del trattamento dei difetti visivi, consigliando lenti a contatto e occhiali più adatti a chi ha problemi di vista. “Non sottovalutiamo l’importanza anche sociale della nostra attività: siamo il primo punto di riferimento su tutto il territorio – dice Afragoli -. Ci si rivolge a noi come a un farmacista. E poi non dimentichiamo che un occhiale è a tutti gli effetti un dispositivo medico, creato su misura per il cliente, esattamente come un pacemaker. Insomma, consigliare una montatura e una lente adatta, non è come consigliare un paio di jeans”.
Altro compito importante dell’optometrista è legato al controllo per misurare le capacità visive e poi alla realizzazione o prescrizione dei diversi mezzi correttivi. Alcuni si occupano anche del campo dello sport vision (analisi che aiuta a migliorare la prestazione di molti atleti, ndr) e del visual training (una sorta di riabilitazione visiva, ndr). “A noi poi spetta anche il compito di indirizzare il cliente da un medico oculista, laddove s’intravede una patologia”.
Paradosso italiano – “In Italia siamo in una condizione molto particolare – spiega ancora Afragoli -. La professione dell’ottico è stata regolamentata nel 1928 e da allora non è praticamente stata apportata alcuna modifica. La scienza però si è evoluta, formando nuove figure lavorative come quella dell’optometrista”. Anche se in Italia non è ancora normata, nel mondo anglosassone, dove è stata regolamentata per la prima volta, vanta una storia di oltre un secolo: “la nostra categoria sarebbe dovuta rientrare nelle professioni sanitarie come la fisioterapia o l’infermieristica, ma per il momento, siamo ancora in attesa di un riconoscimento ufficiale”.
Quella dell’ottico-optometrista anche se non è formalmente riconosciuta dallo Stato, è una professione che sembra non conoscere crisi: uno specialista sanitario – non medico -, che si prende cura degli occhi, può lavorare come imprenditore di se stesso, aprendo un proprio negozio, o anche come dipendente presso una realtà specializzata in ambito ottico o optometrico, oppure ancora come ricercatore e sviluppatore in ambito aziendale, occupandosi della realizzazione vera e propria delle diverse tipologie di lenti correttive.
Percorso didattico – L’approccio classico all’ottica è quello del diploma biennale post maturità che abilita all’esercizio dell’arte sanitaria di ottico. L’altro è quello del corso universitario triennale presso la Facoltà di Scienze matematiche e fisiche, con la laurea in Ottica e Optometria. Ci sono corsi di laurea a Torino, Milano, Padova, Firenze, Roma, Napoli e Lecce: “I corsi universitari per optometristi hanno conosciuto un boom senza precedenti negli ultimi anni – racconta Afragoli -. Questa è una professione sempre più articolata e, nella laurea triennale, s’intravede una base sicuramente più solida”. Alla fine del percorso universitario, per iniziare a esercitare la professione, è necessario comunque prendere il diploma di ottico: “L’università non è abilitante, quindi molti ragazzi dopo la laurea, sostengono da privatisti l’esame da ottico”.
Mercato vitale – I numeri parlano di 15mila professionisti e 9.800 negozi di ottica su tutto il territorio nazionale: “E’ un settore davvero vitale – spiega Afragoli, da dietro il bancone del suo negozio di Bologna – ragione per cui questa strada sembra offrire solide garanzie occupazionali. E’ un lavoro affascinante e stimolante anche per la varietà di casi che si presentano ogni giorno. Ogni cliente ha delle problematiche e delle esigenze differenti: l’iter da percorrere fino alla scelta finale delle lenti è diverso per ognuno, è soggettivo e personale. Il negozio, infatti, è solo una scatola, un contenitore: il pubblico cerca una persona di riferimento come un ottico-optometrista, perché ripone in lui fiducia e anche affetto. Pochi decidono di acquistare un occhiale in un negozio qualsiasi”.
1 commento
Sono tutti delusissimi: volevano il transfert e hanno trovato la MBT! Ma che si aspettavano? Certo che la confusione regna sovrana. Ci si meraviglia tanto della quantità a parere dei miei colleghi eccessiva per non dire spropositata di interruzioni che Bateman infligge alla paziente. Si definisce il lavoro di Bateman con la paziente “very cognitive” mentre per me lo è poco, visto che ci si limita solo all’accertamento di pensieri ed emozioni.