Con la sentenza del 18 dicembre 2014 resa nella causa C-354/13, la Corte di Giustizia si è occupata della nozione di discriminazione ai sensi della direttiva 2000/78, in particolare affermando che sebbene l’obesità non rientri nella nozione di handicap ai sensi della direttiva – le cui ipotesi di discriminazione debbono ritenersi tassative – per contro nell’ipotesi in cui, in determinate circostanze, lo stato di obesità del lavoratore interessato comporti una limitazione, risultante in particolare da menomazioni fisiche, mentali o psichiche, che, in interazione con barriere di diversa natura, ostacoli la piena ed effettiva partecipazione della persona alla vita professionale su base di uguaglianza con gli altri lavoratori e se tale limitazione è di lunga durata, una siffatta malattia può ricadere nella nozione di «handicap» ai sensi della direttiva 2000/78.
Il caso sottoposto alla Corte riguarda un cittadino danese che per quindici anni è stato alle dipendenze del comune di Billund (Danimarca) in qualità di babysitter, occupandosi di bambini all’interno della sua abitazione. Nel novembre 2010 il comune decideva di porre fine al contratto di lavoro subordinato in essere con il lavoratore in questione, assumendo formalmente un calo del numero di bambini dei quali lo stesso si sarebbe dovuto occupare, ma senza dare atto delle ragioni per le quali la sua scelta fosse caduta proprio sul dipendente de quo, obeso ai sensi della definizione fornita dall’Organizzazione mondiale della sanità (OMS). Invero, durante il colloquio prodromico al licenziamento, veniva sollevata la questione dell’obesità del dipendente.
Malgrado il comune sostenesse l’estraneità dello stato di salute del dipendente rispetto al provvedimento espulsivo, l’organizzazione sindacale Fag og Arbejde (FOA), agendo a tutela del lavoratore, asseriva, di converso, che tale licenziamento derivasse da una discriminazione illegittima fondata sull’obesità e perciò adiva il giudice nazionale affinché accertasse la sussistenza della denunciata discriminazione e per l’effetto condannasse il comune al risarcimento del danno.
Il tribunale nazionale adito rinviava pregiudizialmente alla Corte di giustizia affinché la stessa precisasse se (i) il diritto dell’Unione vieti in modo autonomo le discriminazioni fondate sull’obesità; (ii) in via subordinata se l’obesità possa costituire un handicap e se rientri nell’ambito di applicazione della direttiva 2000/78.
In relazione al quesito sottoposto, la Corte, in estrema sintesi, ha considerato che la nozione di «handicap» debba essere intesa, ai sensi della direttiva 2000/78, nel senso che essa si riferisce ad una limitazione risultante segnatamente da menomazioni fisiche, mentali o psichiche durature, che, in interazione con barriere di diversa natura, possa ostacolare la piena ed effettiva partecipazione della persona interessata alla vita professionale su base di uguaglianza con gli altri lavoratori: tale nozione di «handicap» deve essere, dunque, intesa nel senso che essa si riferisce non soltanto ad un’impossibilità di esercitare un’attività professionale, ma altresì ad un ostacolo a svolgere una simile attività.
Secondo il Giudice europeo un’interpretazione diversa non solo sarebbe incompatibile con la finalità di questa direttiva, che mira segnatamente a garantire che una persona con disabilità possa accedere ad un lavoro e/o svolgerlo ma contrasterebbe con la finalità stessa della direttiva in parola, che è quella di realizzare la parità di trattamento, ammettere che essa possa applicarsi in funzione della causa dell’handicap.
Alla luce di ciò si deve constatare che lo stato di obesità non costituisce, in quanto tale, un «handicap», ai sensi della direttiva 2000/78, dal momento che, per sua natura, non ha quale conseguenza necessaria l’esistenza di una limitazione risultante segnatamente da menomazioni fisiche, mentali o psichiche durature, la quale, in interazione con barriere di diversa natura, può ostacolare la piena ed effettiva partecipazione della persona interessata alla vita professionale su base di uguaglianza con gli altri lavoratori.
Per contro, nell’ipotesi in cui, in determinate circostanze, lo stato di obesità del lavoratore interessato comporti una limitazione nei termini sopra descritti, una siffatta malattia può ricadere nella nozione di «handicap» ai sensi della direttiva 2000/78. Pedissequamente alle considerazioni esposte, la Corte ha dunque chiarito che la direttiva 2000/78 deve essere interpretata nel senso che lo stato di obesità di un lavoratore costituisce un «handicap», ai sensi di tale direttiva, qualora determini una limitazione, risultante segnatamente da menomazioni fisiche, mentali o psichiche durature, la quale, in interazione con barriere di diversa natura, può ostacolare la piena ed effettiva partecipazione della persona interessata alla vita professionale su un piano di uguaglianza con gli altri lavoratori.
Il Giudice europeo ha così affermato – con valore, dunque, altresì nomofillatico rispetto ai diritti nazionali – che sarà compito del giudice nazionale valutare se tali condizioni ricorrano nel procedimento principale, dal quale è scaturito il rinvio pregiudiziale.