È uno spaccato in chiaroscuro quello offerto dal presidente dell’ISTAT Gian Carlo Blangiardo che, in audizione alla commissione Lavoro della Camera, ha parlato delle nuove disuguaglianze prodotte dalla pandemia nel mondo del lavoro, nell’ambito dell’indagine conoscitiva promossa dalla Commissione su questo tema. L’Istat è infatti coinvolto in un tavolo di lavoro con il Cnel sui temi dell’indagine conoscitiva, i cui risultati sono attesi entro la fine di ottobre.
Secondo Blangiardo, la pandemia “ha colpito duramente il mercato del lavoro. L’occupazione è diminuita drasticamente nel 2020″ con “contraccolpi che si sono estesi fino a gennaio 2021; da febbraio l’occupazione è tornata a crescere, seppure in modo graduale”. Tra febbraio e maggio 2021, gli occupati hanno raggiunto 22 milioni 427mila “un livello – ha detto – comunque inferiore di 735mila unità (-3,2%) rispetto a quello pre-pandemia (febbraio 2020) e prossimo ai livelli registrati a metà 2015”.
Uno dei cambiamenti indotti dall’emergenza Covid è stato la diffusione del lavoro da remoto, “si è trattato di un mutamento improvviso, che nel giro di poche settimane ha portato l’Italia in linea con la media europea, partendo da una posizione molto arretrata”, ha inoltre sottolineato Blangiardo. Secondo la Rilevazione sulle forze di lavoro dell’ISTAT, a fine 2019 lavorava da remoto circa il 5% degli occupati, con una forte prevalenza degli indipendenti; nel secondo trimestre del 2020 l’incidenza ha superato il 19%, raggiungendo il 23,6% per le donne, con un deciso aumento della quota dei dipendenti. In seguito, l’incidenza del lavoro a distanza si è ridotta, in linea con l’evoluzione delle misure di contrasto all’emergenza, collocandosi al 14% in media d’anno.
La crisi sanitaria ha penalizzato i settori a elevata occupazione femminile, soprattutto nella prima fase. Tra febbraio 2020 e maggio 2021, le occupate sono diminuite del 3,6% (-398 mila) e gli occupati del 2,8% (-518 mila), anche per effetto di un parziale 8 recupero che negli ultimi quattro mesi ha riguardato soprattutto i secondi: da gennaio 2021, +44mila occupate (+0,5%) e +136mila occupati (+1,1%).
Analoghe considerazioni possono essere svolte per i giovani, segmento che ha risentito in modo acuto della crisi: rispetto a febbraio 2020, la riduzione dell’occupazione continua a essere più elevata proprio tra i 15-34enni (-4,2% contro il -3,2% del totale) e il tasso di occupazione dei 25-34enni, pari al 60,9%, è ancora inferiore di 1,5 punti percentuali ai valori pre-crisi, nonostante il recupero di quasi due punti osservato nei mesi recenti. Nella stessa fascia d’età (25-34 anni), a maggio 2021, il tasso di disoccupazione e quello di inattività sono ancora di 0,9 punti più elevati di quelli di febbraio 2020, rispettivamente 15,8% e 27,7%.
La perdita occupazionale è stata particolarmente importante nel Centro e nel Nord, dove tra il primo trimestre 2020 e il primo 2021 gli occupati sono diminuiti, rispettivamente, del 3,6% e del 4,3%, contro il -2,6% del Mezzogiorno.
Se si considera il grado d’istruzione, gli effetti della crisi hanno colpito in misura maggiore i diplomati, tra i quali il numero di occupati è ancora inferiore del 5,4% a quello del primo trimestre 2020 (-575 mila), con un marcato aumento dei disoccupati (+140 mila) e soprattutto degli inattivi (+361 mila). L’inattività nel corso della pandemia è legata soprattutto a motivi familiari e all’indisponibilità a lavorare, piuttosto che alla mancanza di interesse o all’attesa di esiti di passate azioni di ricerca.
Blangiardo ha ricordato che al tema dell’istruzione è necessario riservare massima attenzione, sia per le immediate ricadute sulle capacità potenziali di crescita sia perché fattore determinante per la riduzione delle disuguaglianze. È ampiamente dimostrato come possedere un titolo di studio più elevato aumenti la partecipazione e le probabilità di essere occupati e questo vale, in particolare, per le donne e nel Mezzogiorno.
Secondo l’ISTAT, i lavoratori stranieri sono stati decisamente penalizzati dagli effetti della crisi. Tra il primo trimestre 2020 e il primo del 2021 hanno fatto registrare cali dell’occupazione e aumenti della disoccupazione decisamente più ampi in termini relativi di quelli degli italiani: – 178 mila occupati e +79 mila persone in cerca di occupazione. Il tasso di occupazione diminuisce in misura maggiore di quello degli italiani (-3,7 punti in confronto a -2,0), così come più marcato è l’aumento del tasso di disoccupazione (+3,5 punti e +1,0 punti, rispettivamente); la crescita del tasso di inattività è invece sostanzialmente simile (+1,6 punti per gli stranieri rispetto a +1,5 punti per gli italiani).
Blangiardo nella sua audizione ha sottolineato come la contrazione dell’attività legata all’emergenza sanitaria abbia colpito in modo asimmetrico settori ed imprese. A differenza delle precedenti crisi che avevano coinvolto soprattutto l’industria manifatturiera e le costruzioni, gli effetti della recessione sono stati particolarmente importanti nel settore dei servizi, che ha registrato – tra il primo trimestre 2020 e il primo trimestre 2021 – un calo di occupazione del 4,4%, circa doppio rispetto a quello dell’industria. Una dinamica che ha penalizzato in particolare l’occupazione femminile.
Nonostante le enormi difficoltà vissute dal mondo del lavoro italiano durante la pandemia, in base agli ultimi dati la tendenza positiva sembra rafforzarsi. Nel mese di giugno 2021 l’ISTAT registra, rispetto al mese precedente, un aumento degli occupati e una diminuzione sia dei disoccupati sia degli inattivi. La crescita dell’occupazione (+0,7%, pari a +166mila unità) si osserva per gli uomini, le donne, i dipendenti, gli autonomi e per tutte le classi d’età. Il tasso di occupazione sale al 57,9% (+0,5 punti).
Anche la diminuzione del numero di persone in cerca di lavoro (-5,1% rispetto a maggio, pari a -131mila unità) riguarda entrambe le componenti di genere e tutte le classi d’età. Il tasso di disoccupazione scende al 9,7% (-0,5 punti) e torna, dopo cinque mesi, sotto la soglia del 10%; tra i giovani si attesta al 29,4% (-1,3 punti).
Segnali positivi per l’economia italiana che, a meno di una grave recrudescenza della pandemia in autunno, sembra destinata ad una buona ripresa. Il Fondo Monetario Internazionale ci crede tanto da aver alzato le stime per il Pil italiano, che dovrebbe crescere del 4,9% quest’anno e del 4,2% nel 2022.