Una lavoratrice, disattendendo la disposizione aziendale di rimanere in servizio nel giorno dell’Epifania, si assentava e per tale motivo veniva sottoposta a procedura disciplinare, che si concludeva con la comminazione di una multa. La lavoratrice si rivolgeva allora al Tribunale di Vercelli al fine di veder accertata l’illegittimità della sanzione disciplinare ricevuta. Il Tribunale, con decisione poi confermata dalla Corte di Appello di Torino, riteneva legittimo il rifiuto opposto dalla lavoratrice.
La società datrice di lavoro ricorreva alla Suprema Corte di Cassazione, la quale confermava le decisioni dei giudici di merito, con una sentenza che sotto il profilo giuslavoristico offre almeno due spunti di riflessione di notevole rilievo.
In primo luogo, la Suprema Corte conferma il principio già affermato in precedenza da Cass. 8.10.2005 n. 16634, nell’ambito di un caso che aveva avuto una certa risonanza mediatica in ragione dei soggetti ivi coinvolti. Nello specifico la Fondazione Teatro alla Scala aveva convenuto in giudizio davanti al Tribunale di Milano ben 158 tra i suoi dipendenti al fine di fare accertare l’obbligo di questi ultimi di rendere la prestazione lavorativa anche nelle giornate festive infrasettimanali, se così reso necessario da oggettive esigenze aziendali.
All’esito dei tre gradi di giudizio, la Suprema Corte di Cassazione, confermando quanto inizialmente statuito dal Tribunale e riformando invece quanto sostenuto dalla Corte d’Appello, aveva riconosciuto la natura di “diritto soggettivo” del diritto del lavoratore di astenersi dal lavoro in occasione delle festività infrasettimanali celebrative di ricorrenze civili o religiose. Secondo i Giudici di legittimità, infatti, la L. 27.5.1949 n. 260, vietando il compimento di atti giuridici in occasione di tali ricorrenze, costituisce norma speciale e “completa” e, pertanto, non suscettibile di interpretazione. Ogni operazione ermeneutica di applicare in via analogica la normativa sul riposo domenicale e settimanale pertanto non può essere accolta.
Sul punto, ricordiamo che sebbene oggi dominante, l’orientamento ribadito dalla sentenza in commento si colloca nel solco di un dibattito giurisprudenziale che all’origine registrava una soluzione interpretativa del tutto opposta, che riteneva invece legittimo che il datore di lavoro potesse richiedere la prestazione lavorativa durante le festività infrasettimanali (v. da ultimo, Cass. 27.6.1980 n. 4039). Varrebbe forse la pena – anche a fronte di un disposto normativo oramai risalente nel tempo e che, quand’anche ritenuto “completo”, risulta comunque non sufficientemente dettagliato – auspicare un intervento delle Sezioni Unite per risolvere una volta per tutte il problema interpretativo.
Infine, la Suprema Corte precisa che, trattandosi di un diritto soggettivo previsto da norma imperativa di legge, il diritto de quo non può essere derogato dalla contrattazione collettiva. Sul punto, vale la pena chiedersi – discostandosi dall’oggetto del giudizio di cui alla sentenza in esame – se il medesimo principio presupponga l’inderogabilità del diritto del lavoratore anche a fronte di un contratto collettivo c.d. “in deroga” ex art. 8 del D.L. n. 138/2011. Al riguardo, si può notare come il diritto di astensione in occorrenza delle festività religiose partecipa della finalità di garantire il diritto (di rango costituzionale) di professare e praticare liberamente la propria fede religiosa; come tale, il diritto in questione potrebbe risultare inderogabile anche con accordo di prossimità stante il disposto del comma 2-bis dell’art. 8 del D.L. n. 138/2011. Di converso, il medesimo diritto in occorrenza delle festività civili non sembrerebbe godere della medesima copertura costituzionale, dovendo escludersi che il diritto al ristoro delle energie psicofisiche sia violato dalla mera deroga della normativa in esame.
Sotto un separato, ma non meno rilevante profilo, la sentenza in esame stabilisce che l’eventuale assenza del lavoratore nonostante l’obbligo lavorativo in occorrenza di festività infrasettimanale unilateralmente imposto dal datore di lavoro non assume rilevanza disciplinare, costituendo eccezione di inadempimento.
La questione è ben più problematica di quanto sembrerebbe emergere dalla succinta motivazione della Suprema Corte. In questa sede rileviamo come, a nostro avviso, l’istituto privatistico di cui all’art. 1460 cod. civ., senz’altro applicabile anche al rapporto di lavoro, non può tuttavia legittimare l’astensione del lavoratore dallo svolgimento della prestazione lavorativa – che è obbligazione principale, e non certo accessoria, del contratto di lavoro – per ogni presunto inadempimento, di qualsivoglia genere e natura, del datore di lavoro. Anche sul punto, sarebbe opportuno un intervento delle Sezioni Unite, o, più auspicabilmente, un intervento legislativo di più ampio respiro che disegni il confine tra obbligazioni principali e obbligazioni accessorie nell’ambito del rapporto di lavoro, onde stabilire le condizioni di reciprocità nel legittimo esercizio dell’eccezione di inadempimento.