“In termini di smart working, da una parte c’è chi lamenta la carenza di norme specifiche, chi lamenta la carenza di accordi gestionali che devono coinvolgere le organizzazioni sindacali e poi c’è chi osserva che lo smart working è comunque regolamentato nelle parti essenziali e non vi sarebbe alcun bisogno di un ulteriore intervento legislativo. Occorrerebbe capire il contenuto delle lamentele, non solo il perimetro. Bisognerebbe capire quali sono le zone vuote che le parti vorrebbero riempire e come. È qui che si gioca il futuro di questa modalità di lavoro“. Lo ha detto all’agenzia di stampa Dire Francesco Rotondi, avvocato giuslavorista e fondatore dello studio legale LabLaw, che si occupa di lavoro e aziende.
Per Rotondi “è evidente che i sindacati vorrebbero che questa modalità sia normata nel senso della quasi totale permeabilità con il lavoro ordinario. Dall’altra parte, le imprese immaginano che invece la peculiarità di questa modalità di svolgimento della prestazione sia quella organizzativa del lavoro e rispecchi modelli che non possono riproporre il rapporto di lavoro ordinario”.
Per l’avvocato, quindi, “da questa emergenza ne usciamo ancora più lontani, perché questa emergenza ha posto in evidenza delle nuove esigenze sia dei lavoratori che delle aziende. Nuove esigenze- aggiunge Rotondi – che le parti sociali devono saper reinterpretare, e per farlo si devono rimettere attorno a un tavolo e non devono lasciare che gli spazi della contrattazione siano riempiti da altri, né devono fare in modo che questa condizione di cambiamento venga bloccata da rigidità che in questo momento non comprendo”.
Rotondo: “Lo Stato deve creare politiche di lavoro attive”
A proposito dei cambiamenti in atto nel mercato del lavoro Rotondi sottolinea: “Tutti i cambiamenti si portano dietro una preoccupazione, è umano. Ma come ci dobbiamo muovere verso questo cambiamento? Gli sconvolgimenti industriali e del mercato del lavoro portano con sé da una parte la scomparsa e la perdita di alcune modalità di svolgere alcuni lavori, dall’altro introducono delle novità. Quando si è fortunati il saldo è pari, quando si è molto fortunati genera occupazione, quando non si è in grado di interpretarlo può generare ulteriore disoccupazione. Il compito dell’impresa è interpretare il cambiamento e cercare di portare avanti attività che possano creare lucro e offerta di lavoro, necessario per il cittadino per realizzare la sua esistenza. Lo Stato deve garantire che i due attori abbiano le condizioni per svolgere la loro parte”.
“Da anni è in atto nel nostro Paese una narrazione totalmente sbagliata che va sotto l’egida della responsabilità sociale dell’impresa. Un concetto che è presente anche nella Costituzione, che prevede però che sia lo Stato a far sì che ci siano le condizioni affinché il diritto al lavoro si realizzi- precisa Rotondi al direttore dell’agenzia Dire, Nicola Perrone – Io ritengo che lo Stato sia l’attore principale affinché i cittadini siano in grado di avere la preparazione tale da potere essere occupati in un mercato che richiede determinate competenze. Gli imprenditori devono creare le condizioni per svolgere un’attività lecita all’interno di uno Stato civile e democratico, che garantisca la responsabilità di continuità, sicurezza, sanità, crescita culturale. Ma non può essere interpretata come responsabilità dell’offerta del lavoro”. “Veniamo da 70 anni di attività che lo Stato ha male interpretato: assistenza al cittadino lavoratore e non lavoratore- continua l’avvocato giuslavorista– Di fronte a qualsiasi problematica inerente industria e mercato che andava a erodere la capacità occupazionale, il nostro Stato non ha reagito con una politica attiva: di fronte a tutte le problematiche si è reagito con l’idea di sostituire la capacità reddituale con un ammortizzatore sociale. Ma così non stiamo svolgendo quel compito, stiamo solo cercando di attenuare l’impatto sociale. La responsabilità principale è dello Stato, che poi può chiedere agli attori che stanno intorno di contribuire in questi termini. Ma non si può immaginare che la responsabilità dell’impresa sia questa, perché è ben altro. Lo Stato, attore principale delle politiche attive, dell’occupazione giovanile e delle politiche di formazione può chiedere a imprenditori, lavoratori, cittadini e studenti di fare la loro parte. Ma intanto noi continuiamo a parlare di ammortizzatori sociali”.