Altro che lavoro smart, intelligente e per obiettivi: stando a una ricerca di LinkedIn chi lavora da casa è ancora più stressato di quanto fosse prima e, quando non è così, è sicuramente vittima dell’ansia. E questo perché causa Covid-19 e conseguente lockdown, se per alcuni il lavoro è diminuito (vedi negozi e attività varie che hanno riaperto da poco e stanno provando a rilanciarsi), per altri, in particolare chi lavorava in ufficio, la mole di impegni è aumentata e rischia di rovinare la loro salute mentale. È quanto emerge da una ricerca condotta dal business social network per eccellenza su oltre 2mila lavoratori italiani che, causa Coronavirus, stanno lavorando da casa.
Più stressati e ansiosi e anche più impegnati. Il 46% delle persone intervistate ha affermato di sentirsi più ansioso e stressato per il proprio lavoro rispetto a quando andava ogni giorno in ufficio così come il 48% ha ammesso di lavorare almeno un’ora al giorno in più che vuol dire aggiungere 20 ore in più al mese. Quasi 3 giornate lavorative da 8 ore. Ma non finisce mica qui: c’è anche una sorta di “gara di merito” Chi lavora da casa vuole dimostrare ai capi che merita di occupare il posto che ha e in questo probabilmente influisce anche l’ansia legata al periodo di crisi causato dal Covid. Tant’è che il 16% degli intervistati teme che il datore di lavoro lo licenzi e il 19% si chiede se la propria azienda sopravviverà.
Gli orari, questi sconosciuti. E non vanno meglio le cose per quanto riguarda quel diritto alla disconnessione che chi lavora in modalità “intelligente” dovrebbe avere. Anche per questo è più giusto parlavo di “lavoro da casa” anziché di smart working visto che per la maggior parte delle persone è difficile staccare la spina. Essere a casa, infatti, invita il 22% degli intervistati a sentirsi pronti a rispondere a mail e telefonate in ogni momento e a essere online più disponibili del solito. Il 22%, poi, anticipa addirittura il lavoro – e questo sicuramente perché non ci sono i tempi di spostamento – iniziando alle 8 ma staccando davvero alle 20.30. Lavorando dunque oltre le canoniche 8 ore. C’è chi per ovviare a questa situazione ogni tanto finge di essere occupato.
Più tempo per gli affetti e l’esercizio fisico. Non tutto il male viene per nuocere, però. Il 50% dei lavoratori afferma che questo periodo di lockdown gli ha consentito di stare di più con figli e famiglie, così come l’11% dei lavoratori concorda sul fatto che questo periodo di quarantena ha avuto un impatto positivo sulle proprie relazioni personali. Non solo affetti, ma anche salute: durante il lockdown e la permanenza obbligata a casa, i lavoratori hanno mangiato più sano (27%) e fatto più esercizio fisico (14%). E questo per fortuna perché altrimenti le conseguenze avrebbero potuto essere ancora più gravi.
Rischio burn out dietro l’angolo. Emerge, infatti, dalla ricerca di LinkedIn che per il 18% dei lavoratori la propria salute mentale è stata influenzata negativamente dal fatto di lavorare da casa. Il 27% dei lavoratori ha poi difficoltà a dormire, il 22% prova una qualche forma di ansia, mentre un altro 26% sente di non essere concentrato durante il giorno. Insomma, nonostante si lavori da casa, il rischio burn out è dietro l’angolo.
Laura Parolin, vicepresidente dell’Ordine degli Psicologi spiega meglio la situazione al di là dei numeri: “Il lavoro da casa e l’impossibilità di uscire ci ha obbligato a una ridefinizione repentina degli equilibri tra lavoro, famiglia e tempo libero. L’organizzazione del lavoro prima della pandemia consentiva di evadere e prendere le distanze dagli altri ambienti di vita,una possibilità che ora manca, costringendoci al confronto costante con l’isolamento o alle relazioni con i conviventi, spesso con la difficoltà di definire un soddisfacente work-life balance. È comprensibile sentirsi smarriti e frastornati dalla novità, tuttavia è altrettanto cruciale sfruttare il ritrovato contatto con sé stessi per imparare ad ascoltarsi e ripensare emozioni, ansie, paure”. Quando le persone vivono una grande Incertezza è infatti normale che tutto si trasformi in ansia e paura, specie di perdere il lavoro.
Cosa dovrebbero fare le aziende.“Sono proprio queste situazioni che evidenziano lo stretto legame tra il nostro benessere psicologico, la produttività e la capacità di lavorare in team” precisa Parolin. “Le aziende dovranno prevedere azioni di welfare aziendale specifiche (sportelli, voucher, convenzioni) per il sostegno psicologico ai dipendenti in modo da assicurare che il loro benessere sia tutelato, e i lavoratori non dovranno temere di far riferimento ai professionisti coinvolti”.