l Governo Renzi va avanti per la sua strada sulla riforma del lavoro. L’ha fatto con un emendamento all’articolo 4 del disegno di legge Poletti, altrimenti noto con il nome di Jobs Act, in discussione alla commissione lavoro del Senato.
Le reazioni contrarie del sindacato ed in particolare della Cgil e della “sinistra” PD sono state forti e immediate. Ritorna l’evocazione dello sciopero generale e qualcuno paventa la caduta dello stesso Governo Renzi sulla “buccia di banana” del sempre verde articolo 18.
Vediamo i punti salienti dell’emendamento del Governo. Intanto si rimanda la definizione dei reali contenuti del nuovo contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti ai decreti attuativi che verranno varati entro 6 mesi dall’entrate in vigore della nuova legge sul lavoro. Presumibilmente, quindi, entro giugno del 2015. E’ nei “dettagli” attuativi che si capirà la portata autentica dei cambiamenti paventati.
Il contratto a tutele crescenti è uno dei cardini della nuova regolazione del lavoro voluta da Renzi: non riguarderà solo la fase d’inserimento nel mercato del lavoro, come precedentemente ipotizzato, ma sarà applicabile anche nel reinserimento lavorativo. In sostanza, sarà il contratto prevalente nelle fasi d’ingresso in azienda in qualsiasi fase del percorso lavorativo. Parallelamente, compito del Governo sarà quello di compiere un monitoraggio su tutti i contratti di lavoro attualmente esistenti, oltre 40, per vagliare in modo approfondito quali hanno ragione di esistere e quanti, invece, potrebbero essere aboliti dal nostro ordinamento. Lo scopo dichiarato è quello di semplificare al massimo le tipologie contrattuali e in questo modo limitare gli abusi.
Altro punto cardine della riforma riguarda la questione della disciplina delle mansioni. Ad oggi, come noto, non sono possibili i cosiddetti demansionamenti, in altre parole non si può inquadrare un lavoratore ad una mansione inferiore a quella raggiunta. Tale divieto è indicato nell’articolo 13 dello Statuto dei lavoratori. La delega dell’Esecutivo prevede una revisione in questo senso prevedendo la possibilità del demansionamento nelle situazioni in cui è saggio mediare “l’interesse dell’impresa all’utile impiego del personale in caso di processi di riorganizzazione, ristrutturazione o conversione aziendale con l’interesse del lavoratore alla tutela del posto di lavoro, della professionalità e delle condizioni di vita, prevedendo limiti alla modifica dell’inquadramento”. Inoltre, verrà rivista e aggiornata anche la disciplina sui controlli a distanza alla luce delle innovazioni tecnologiche e fermo restando il rispetto della privacy e della dignità dei lavoratori e l’attività ispettiva dei vari organismi istituzionali (Ministero, Inps, Inali, Asl, ecc.) verrà ricondotta ad un’Agenzia unica per le ispezioni di lavoro.
E’ prevista anche l’introduzione di un salario minimo garantito per legge per i contratti di collaborazione e a progetto nei settori non regolati da un contratto collettivo nazionale. E in via sperimentale l’introduzione del salario minimo riguarderà anche il lavoro dipendente nei settori non regolati dai contratti collettivi nazionali sottoscritti dai sindacati. Anche se non previsto nell’emendamento Renzi ha annunciato che vorrà estendere la maternità alle partite Iva e si profila l’introduzione di un’indennità di disoccupazione estesa a tutti i lavoratori che oggi ne sono esclusi.
Veniamo, infine, alla querelle sull’articolo 18 che tiene banco in questi giorni. Nell’emendamento del Governo non si fa esplicito riferimento alla riforma dello Statuto in questo senso, ma sarà uno dei punti dirimenti sui quali i decreti attuativi che verranno dovranno misurarsi. E’ in vista di questa elaborazione successiva che si stanno definendo le posizioni: da un lato il Governo pronto ad un’ulteriore attenuazione dell’articolo 18 (che prevede il reintegro al posto di lavoro in caso di licenziamento senza giusta causa), dopo la precedente modifica prevista dalla riforma Fornero, che prevede per i primi 3 anni di contratto la non applicabilità dell’articolo 18, superati i quali verrebbe ripristinato. La “sinistra” Pd, la Cgil e gli altri sindacati, invece, non vogliono sentir parlare nemmeno di modifica parziale della possibilità del reintegro in azienda, mentre la componente di centro-destra del Governo spinge per una abolizione totale dell’articolo 18 sostituendo l’obbligo del reintegro, in caso di licenziamento senza giusta causa, con una rafforzata indennità economica.
Queste in sintesi le posizioni in campo e le linee guida della riforma del lavoro del Governo Renzi. Come andrà a finire lo vedremo nei prossimi mesi perché la partita è appena cominciata e c’è chi scommette che tutto potrebbe improvvisamente decadere perché si andrà ad elezioni anticipate nel 2015.