Pilota dalle doti velocistiche eccezionali, che gli valsero il soprannome di “Jimmy il fenomeno” per le sue capacità di rimonta in situazioni difficili. E’ vincitore di 12 titoli nazionali. Il suo esordio nelle competizioni avviene nel 1977 al Rally delle Valli Piacentine, dove è costretto al ritiro per in incidente ed al prestigioso Rally di San Martino dove viene già notato da un giovane giornalista in seguito diventato uno dei più qualificati direttori di giornali automobilistici, Carlo Cavicchi. L’anno successivo partecipa al Campionato Autobianchi classificandosi quarto e che conquisterà nel 1979, vincendo 7 delle 10 gare in calendario. Negli anni successivi si confermerà un “pilota di razza”, mostrando doti che lo porteranno a diventare uno dei più grandi campioni di Rally italiani. Oggi continua a lavorare come manager e consulente nello sport che ha segnato la sua vita attraverso la Franco Cunico Consulting.
Franco, raccontaci come sei diventato un campione di rally, partendo dai primi passi fino alle prima vittoria importante, di una competizione nazionale.
La mia passione era il motocross ma poi il fidanzatino di mia sorella, munito di un’auto preparata, mi insegnò un po’ di tecnica rallistica ed ecco che alla maturità scolastica mio padre, invece della Fiat 500 che tutti volevano pensò bene di soddisfare la mia richiesta che era rivolta ad una vecchia Opel Ascona 1.9 dal prezzo forse più basso della 500. Partecipai a 3 gare con mediocri risultati finché l’anno successivo trasformai la A112 Abarth di mia mamma in un’auto da Trofeo. Alla 3^ mia partecipazione al Trofeo A112 del 1978 vinsi ed essendo molto giovane la Fiat mise gli occhi su di me così dalla quarta gara in poi cominciai ad usare una vettura ufficiale e fui rimborsato e pagato per tutte le mie attività sportive ed iniziò la mia carriera da professionista consacrata poi con la mia prima vittoria assoluta alla Targa Florio del 1983 con la Lancia Rally 037. Così è nata la mia carriera di pilota di Rally.
Cominciamo con il capire se l’attività di pilota di rally può essere considerata un lavoro a tutti gli effetti oppure un hobby. In sostanza, offre garanzie economiche tali da potersi dedicare a questo sport in termini professionali?
Il Rally è sempre stata una disciplina divisa tra professionisti ed appassionati nel numero approssimativo di 2/3 ogni 100 ed è per questo che viene riconosciuto il grande fascino di queste competizioni dove il gentleman è a diretto confronto con il professionista percorrendo le stesse strade ed usando auto molto simili. Ciò non è possibile ad esempio in Formula 1 dove confrontarsi con i Top driver è impossibile. In questo contesto il numero maggiore dei protagonisti è occupato quindi da coloro che affrontano le gare con un sano spirito sportivo considerando quindi la specialità come un vero e proprio hobby .
Così si può certamente dire che esiste il “professionismo” nei rally che oggi però è riservato a soli 6 piloti al Mondo (divisi tra Citroen, Ford e Wolkswagen) e ad uno in Italia (Andreucci). Posso tranquillamente dire di essere stato un privilegiato a farne parte e ad usufruire di ingaggi piuttosto elevati.
Come si diventa piloti di rally? Esistono delle scuole di guida veloce, dei percorsi di formazione ufficiali? Oltre alla passione quanto conta il percorso di apprendimento?
Non c’è una regola in tal senso, vi possono essere delle opportunità come i trofei monomarca che poi possono avere sfogo in un ingaggio presso lo stesso Costruttore, se poi l’età è dalla tua ancora meglio senza tralasciare che il fattore numero uno è la velocità e la bravura che ognuno di noi deve dimostrare.
L’esperienza sui percorsi di gara con le innumerevoli curve e le diverse condizioni climatiche obbligano i piloti ad un apprendimento continuo e crescente tale da far sì che l’esperienza sia un fattore piuttosto importante.
Tu sei stato un grande campione, ma non tutti arrivano ai tuoi livelli. Qual è la vita di un pilota di rally “normale” e quale, invece, quella di chi arriva a livelli molto alti, come te?
La vita di un pilota “normale” è fatta di incontri, confronti ed aneddoti presso i vari gruppi sportivi, le scuderie, i preparatori ed i bar con gli amici mentre un professionista, il proprio confronto, deve farlo giornalmente con il proprio datore di lavoro che pretende professionalità e risultati.
Finita la stagione agonistica, il percorso professionale come continua? Si rimane sempre nel settore in ruoli manageriali o di altro tipo?
Alcuni piloti riescono a ritagliarsi ruoli manageriali nei rally o nell’automobile in generale ma spesso questi sono coloro che non hanno ottenuto risultati d’eccellenza nelle competizioni dimostrando invece nell’organizzazione e nel lavoro più tradizionale qualche dote in più.
Quando si pensa all’attività di pilota di rally, uno degli aspetti che colpiscono è la sicurezza. E’ un mestiere sicuro? Sono stati fatti passi avanti in questo senso in questi ultimi anni?
La velocità non è mai sinonimo di sicurezza implicando quindi una buona dote di rischio ma diciamo che le regole tecniche ed organizzative hanno limitato il rischio. I rally oramai si svolgono con una buona dose di sicurezza garantita da Commissari preparati e da auto sempre più sicure.
Cosa consiglieresti ad un giovane che volesse intraprendere la tua stessa carriera sportiva?
Gli direi di fare il “gentleman driver”, di affrontare i rally con la sana passione che accomuna migliaia di appassionati ma di stare lontano dal professionismo che almeno per ora, con la crisi mondiale in essere, sarebbe un sogno irraggiungibile ma, mai dire mai!
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