Intervista a Federico Vione, classe 1972, Amministratore delegato di Adecco Italia, oltre che per l’Europa Orientale, l’India e Paesi del Middle East. In sostanza è “capo” di Adecco, la più grande Agenzia per il lavoro al Mondo, in 20 Paesi. Un punto di vista molto ampio che gli permette di mettere a confronto quotidiano mercati del lavoro molto diversi e distanti tra loro e avere una visione internazionale dei problemi. Sul Jobs Act e su come sviluppare anche in Italia una sana flessibilità ha le idee molto chiare. Eccole.
Il Governo Renzi sta mettendo mano ad un’importante riforma del lavoro che vedrà la luce a fine anno. Il tema di fondo è la costruzione di un moderno mercato del lavoro fondato sulla buona flessibilità, quella tutelata, a scapito delle precarietà fondata sull’uso distorto dei contratti tipici del lavoro autonomo come le partite Iva e le collaborazioni. E’ prevista una drastica cura dimagrante per i tanti contratti esistenti e si va verso una semplificazione spinta con l’introduzione di un nuovo contratto a tempo indeterminato, ovvero quello a tutele crescenti. In questo nuovo scenario che ruolo giocheranno le Agenzie per il lavoro?
Il mercato del lavoro italiano ha bisogno di cambiare passo. L’ispirazione di fondo del cosiddetto Jobs Act è positiva perché prevede più flessibilità in uscita, semplificazione e regolamentazione della flessibilità in entrata e maggiore sicurezza. C’è un paradosso tutto italiano che ho potuto riscontrare grazie al mio lavoro. Sono responsabile Adecco per 20 Paesi e inevitabilmente faccio il confronto con gli altri mercati del lavoro. Prendendo a riferimento due parametri, come la retribuzione e i diritti, da noi succede questo: il contratto a termine prevede uguale retribuzione e uguali diritti rispetto a quello indeterminato, la somministrazione prevede uguale retribuzione e maggiori diritti grazie alla contrattazione di settore, e poi c’è la falsa flessibilità che prevede minori diritti e minore retribuzione. E’ proprio quest’ultimo il nostro paradosso al quale la semplificazione prevista dal Jobs Act porrà rimedio. In questo senso condivido l’idea estrema che vede la cancellazione del contratto a progetto dal nostro ordinamento, insieme a tutti gli altri “contrattini”, in modo da indirizzare il lavoro autonomo verso la partita Iva e il lavoro dipendente verso i pochi contratti subordinati consentiti. Abolendo le forme tipiche dell’abuso si dà un duro colpo al “dumping sociale” che alcune aziende realizzano attraverso una insana competitività basata sull’annullamento delle tutele del lavoro. Il nostro ruolo, per rispondere alla sua domanda, sarà fondamentale in molti ambiti, ma dal punto di vista della buona flessibilità, noi rappresentiamo il miglior modello di coniugazione della flessibilità richiesta dalle aziende con la continuità lavorativa e le tutele richieste dai lavoratori. Con le Agenzie per il lavoro si spalancano le porte alla flessibilità tutelata.
Il contratto a tutele crescenti introduce ulteriori elementi di flessibilità in uscita. Non c’è il rischio che questo contratto si sovrapponga al contratto a termine? Non sarebbe meglio gestire la flessibilità legata all’interruzione del rapporto di lavoro con i contratti a termine e con quelli in somministrazione in modo da non generare confusione e rivedere la flessibilità del contratto a tempo indeterminato su altri punti come il demansionamento, per esempio?
Il mio giudizio sul contratto a tutele crescenti è positivo. Per certi versi è assimilabile al contratto di apprendistato. Le tutele crescono in funzione dell’anzianità lavorativa in azienda e questo permette una migliore e più funzionale organizzazione del lavoro, adeguata ai nuovi tempi, con benefici per l’azienda e il lavoratore stesso. Non vedo sovrapposizioni, ma al contrario un adeguamento del contratto a tempo indeterminato alle nuove e diffuse esigenze di flessibilità sul medio-lungo periodo, a cui non possono rispondere i normali contratti a tempo. Quello che va chiarito, però, è prevedere un congruo e certo costo nell’interruzione del rapporto di lavoro che cresca con l’anzianità lavorativa. Devo dire, tuttavia, che se c’è un istituto che non ha più senso così com’è, e che il contratto a tutele crescenti indebolisce ulteriormente, è il contratto a termine. Un contratto che a mio parere dovrebbe essere profondamente rivisto o superato del tutto.
Vorrei ricordare che anche le Agenzie per il lavoro offrono contratti di lavoro a tempo indeterminato: si chiama staff leasing. Solo Adecco ha 3.000 lavoratori a tempo indeterminato, circa il 10 per cento sul totale dei lavoratori che somministriamo. E’ uno strumento, inoltre, che si pone in alternativa a pratiche di outsourcing di manodopera che giocano al ribasso sulle tutele. Quando si parla di crescita del tempo indeterminato ci siamo anche noi. E i margini di crescita dello staff leasing sono molti.
Ha toccato il tema decisivo delle tutele. Il welfare della flessibilità sarà coniugato sempre di più verso le politiche attive del lavoro, vero “buco nero” del nostro sistema, affiancato da un rinnovato schema di protezione universale. Le Agenzie per il lavoro saranno chiamate a svolgere un ruolo decisivo al fianco dei Centri per l’impiego in un sistema basato sul risultato e su una sana competizione. Lo Stato pagherà la struttura, pubblica o privata, che collocherà il lavoratore in carico. Siete pronti?
Noi ogni giorno operiamo nella logica del risultato. E’ il nostro lavoro. Le aziende ci pagano a fronte di un risultato certo. Orientare le politiche attive del lavoro ad una logica di risultato e premialità, all’interno di uno schema di sana competizione tra pubblico e privato, dimostra che si fa sul serio. E’ questa la strada giusta per ridare efficienza ed efficacia alle politiche di collocamento. Altre strade sarebbero fallimentari e costose. Nel mercato del lavoro flessibile la continuità lavorativa può essere garantita solo dalla cosiddetta employability, ovvero dalla capacità di sviluppare l’occupabilità delle persone e rendere più fluido possibile il passaggio da un lavoro all’altro. Da questo punto di vista le Agenzie per il lavoro sono il modello ideale di Flexicurity. Il lavoratore non è mai lasciato solo ed è accompagnato in tutte le fasi del percorso lavorativo compresi i momenti di non occupazione in cui interveniamo con risorse aggiuntive. E’ auspicabile per tutti un potenziamento del nostro ruolo per garantite lo sviluppo di una sana flessibilità nel mercato del lavoro italiano.
La disoccupazione giovanile ha raggiunto livelli non più tollerabili. C’è molto da fare per invertire la tendenza negativa e ognuno dovrebbe fare la sua parte. Adecco ha presentato un progetto ambizioso. Di che si tratta?
Partiamo da un dato strutturale del mercato del lavoro, non solo italiano ma anche europeo, il cosiddetto mismatching. Le professionalità e le competenze richieste dalle aziende spesso non trovano riscontro nell’offerta di lavoro: sembra un dialogo tra sordi. Periodicamente vengono pubblicate indagini provenienti da più parti che evidenziano con numeri significativi questo fenomeno. E le istituzioni non sempre hanno le risorse per fare la loro parte. Come lo risolviamo? Il bandolo della matassa sono le aziende. Bisogna partire dai bisogni delle aziende e trovare un sistema di interconnessione stabile con le scuole e con le attività di orientamento al lavoro. Quello che non dobbiamo fare, però, è partire dalla statistica. Al contrario, il sistema che noi immaginiamo e vogliamo realizzare parte dalle singole aziende e dai singoli territori, in una logica capillare, in modo da garantire un impatto reale e concreto mettendo in rete scuole, aziende e mondo del lavoro.
I giovani devono sapere quello che le aziende vogliono. All’interno del progetto #diamolavoroalleambizioni che abbiamo annunciato il 19 maggio scorso a Milano alla presenza del Ministro del Lavoro Giuliano Poletti, investiremo 10 milioni di euro in formazione, per sostenere con 50mila ore di formazione in 24 mesi le ambizioni dei giovani, ma anche dei meno giovani, motivati alla crescita professionale incrociandole con le ambizioni delle imprese italiane che con sempre più difficoltà devono trovare il mix di skills e competenze oggi necessario per affrontare le sfide dell’innovazione e della competizione. In un Road Show che ha visto protagoniste le piazze di Milano, Roma e Padova, Adecco ha presentato l’esito del lavoro svolto per sensibilizzare e ottenere il coinvolgimento di centinaia di aziende clienti ai fini della creazione di 100 mila nuove opportunità di lavoro entro i prossimi 24 mesi. Nell’arco di soli quattro mesi, circa 1000 aziende si sono impegnate per il successo di interventi a scopo formazione e inserimento lavorativo in collaborazione con Adecco. Punteremo a rafforzare le soft skills dei giovani, ovvero tutte quelle abilità necessarie per un giusto approccio con il mondo del lavoro, come lavorare in gruppo, la web reputation, e così via. Ci preoccuperemo, inoltre, di monitorare e svilupparle le soft skills anche in “corso d’opera” con il progetto Skill Licence. Si tratta di un sistema online di feedback da parte delle aziende in cui vengono riportate delle valutazioni sui comportamenti del lavoratore nelle diverse dimensioni dell’attività lavorativa. Questo permette sia alle aziende che al lavoratore di evidenziare eventuali criticità o debolezze del lavoratore in modo da permettere un intervento formativo, successivo e realizzato da noi, in modo da rafforzare l’employability dei nostri giovani lavoratori e garantire la continuità lavorativa.
Mi faccia dire, inoltre, che come sistema delle Agenzie per il lavoro siamo noi che stiamo tenendo in piedi il Piano Garanzia Giovani dal punto di vista delle offerte di lavoro: oltre il 95 per cento delle offerte viene da noi, pur non essendo coinvolti in tutte le Regioni. Il primo collocato con Garanzia Giovani è stato un lavoratore di Adecco!
C’è anche un dato generazionale legato all’occupabilità che riguarda la fascia d’età sopra i 29 anni. L’esigenza di imparare un nuovo mestiere o una nuova professione, anche sul campo, prescinde l’età. Si tratta di un’esigenza presente durante tutto l’arco della vita lavorativa di una persona. Che senso ha, allora, mantenere i limiti di età nei contratti di apprendistato? E’ arrivato il momento di abolire questo limite, magari avviando una prima sperimentazione in questo senso proprio con l’apprendistato in somministrazione?
Quest’idea mi convince e la condivido. Ci faremo carico di portarla nelle sedi opportune. Il tema centrale del mercato del lavoro flessibile è garantire la continuità lavorativa per tutti. Vanno sviluppati tutti gli strumenti necessari, anche contrattuali, per favorire l’occupabilità delle persone a prescindere dalla loro condizione anagrafica o professionale. Non vedo ragioni contrarie a dotarci di uno strumento contrattuale che incentivi l’apprendimento di un nuovo mestiere o di una nuova professione, maturando esperienze sul campo, che sia esteso a tutte le fasce d’età. Anche perché risponderebbe ad un’esigenza reale dei lavoratori, delle aziende e del nuovo mondo del lavoro.