Il tema dell’alternanza scuola – lavoro è centrale per migliorare l’ingresso dei giovani nel mondo del lavoro. Il Governo Renzi con la riforma della “Buona Scuola” ha reso introdotto l’obbligatorietà della formazione sul campo per gli studenti delle scuole superiori (200 ore peri licei e 400 per gli istituti professionali). Il ruolo delle imprese sul territorio e nel rapporto con la scuola è decisivo. Abbiamo sentito Franco Rubbiani, responsabile dell’ufficio studi di Lapam Confartigianato di Modena di spiegarci dal suo osservatorio come e perché la formazione sul campo è importante per il futuro lavorativo dei giovani e per le imprese stesse.
Partiamo dalle ragioni di fondo che soggiacciono alle iniziative di alternanza scuola-lavoro. Perché è importante e quali sono le opportunità offerte dalla Buona Scuola in merito all’obbligatorietà?
L’ importanza specifica del tema “alternanza scuola-lavoro” in questa fase economica e sociale, che riguarda i giovani di oggi, deriva dal contesto stesso in cui ci troviamo a operare. Cioè un livello di disoccupazione giovanile mai visto negli anni precedenti e soprattutto di gran lunga superiore alla media dei più importanti Paesi europei. Se leggiamo il tema “alternanza scuola-lavoro” non dall’inizio (opportunità generica per tutti, oppure, all’estremo, obbligo da adempiere), ma dalla fine e cioè percorso per riconfigurare i luoghi e i soggetti che contribuiscono alla “costruzione delle competenze professionali”, tutto assume un senso più pregnante e condivisibile da tutti. L’alternanza, anzi una buona alternanza, può diventare uno strumento efficace in mano alla comunità locale per garantirsi e garantire un futuro di coesione e prosperità, di cui il lavoro e l’impresa, nello specifico, sono parti essenziali.
Quali le criticità ancora eventualmente da rivedere?
Le criticità sono davvero tante, ma non ci si può bloccare davanti a queste.
Ne richiamo qualcuna, in breve. Internamente alle scuole, la quantità di ore dell’alternanza scuola-lavoro, in rapporto agli insegnamenti per discipline, per didattiche a volte ancora frontali e superate, per ruoli e non per “team di progetto”, per sensibilità individuali e non per organizzazione. Tutto questo spesso porta a quello che definisco, scherzosamente, il “fuoco amico” dei colleghi. E poi esternamente alle scuole, nel mondo del lavoro del cosiddetto “soggetto ospitante” che, ricordo, non comprende solo l’impresa, ma anche le professioni, il no profit, lo stesso sistema degli enti pubblici: innanzitutto la consistenza numerica di studenti “scaricata” dall’alternanza sul sistema locale e i tempi di ricezione, spesso ristretti o incompatibili con le diverse esigenze produttive. Infine nelle relazioni tra questi due sistemi, educativo e lavorativo: basta guardare a come viene affrontato il tema della sicurezza. Ripeto, c’è molto da fare, serve tempo per progettare, meglio, co-progettare, fare, sperimentare; ma a problemi nuovi bisogna dare risposte nuove, anche in termini di partnership e di disponibilità a collaborare, enti pubblici inclusi.
Uno dei punti essenziali del rapporto tra scuola e lavoro è quello di orientare i ragazzi verso il lavoro che c’è. Sei d’accordo? Dovremmo evitare di illuderli?
Quando si parla di lavoro è sempre opportuno e intellettualmente onesto contestualizzare ciò che si dice, in generale e ai giovani in particolare; cioè partire dal locale, dal dimensionare e presentare il tessuto economico di quel territorio, il sistema del lavoro locale. Nei nostri territori di Modena e Reggio Emilia, ad esempio, oltre il 90% delle imprese ha meno di 10 addetti e sono attivi diversi distretti industriali e concentrazioni produttive: dalla moda di Carpi alla ceramica di Sassuolo, dall’agroalimentare tradizionale dell’aceto balsamico alla ricerca del biomedicale, dove innovazione, salute, cura e stili di vita sono una cosa sola. Per non parlare della meccanica e dell’automotive, con brand di assoluta caratura internazionale. Ecco, noi partiamo da lì, da pochi dati sui settori economici per ragionare insieme ai giovani sul lavoro che c’è, dov’è, chi lo cerca e come lo cerca; ma anche paradossalmente sui giovani che non ci sono, cioè quei profili professionali cercati dalle imprese, ma non trovati. Il mismatch fra domanda e offerta, nonostante tutto. Il singolo progetto di vita porterà poi qualche giovane anche in un “altrove”, magari in altre regioni italiane o all’estero, dove affronterà altri modelli; noi li attrezziamo per il nostro modello, di Modena e Reggio Emilia. Con qualche riflessione su soft skills, motivazione, team work, portabilità delle competenze e distintività del CV. Diciamo comunque, in generale, che non immaginiamo un futuro di tutti cuochi, ma ci riconosciamo piuttosto in un mix di manifattura e servizi innovativi.
Quali sono i progetti e le iniziative virtuose che sulla base delle tua esperienza puoi segnalare sul territorio?
Resto nel nostro, per correttezza. La nostra è un’Associazione di imprese e imprenditori. Per questo motivo dobbiamo guardare e presidiare ogni singola impresa, ma anche avere un occhio, una visione, come dire, di sistema. Per cui la nostra attività sul campo va dagli incontri di orientamento nelle classi terze delle medie all’intensa attività in classe -sempre con i professori presenti, perchè parliamo anche a loro – con gli istituti superiori di tutti gli indirizzi, professionali, tecnici e liceali. Abbiamo anche diversi progetti con l’università. Ne richiamo qualcuno. La simulazione del colloquio di lavoro, sia in italiano che in inglese. Mettersi alla prova, per molti giovani, è già un passo avanti, un’esperienza nuova. Simulazioni perché l’ambiente è quello protetto della scuola, ma i 2/3 colloqui che realizziamo nella sessione di 2 ore sono reali e rappresentano, in senso sociologico, interlocutori reali del contesto territoriale e produttivo, appunto, in cui operiamo. Queste sessioni prevedono un lavoro preliminare sul curriculum e un lavoro finale di socializzazione e condivisione con i giovani stessi. Un’altra nostra best practice riguarda le sessioni di storia economica e sociale locale. Diamo anche qui un taglio di carattere sociologico, in cui l’economia si intreccia con i fenomeni sociali e demografici, le migrazioni, il lavoro femminile, le transizioni dalla manualità alla meccanizzazione alla informatizzazione. Funziona molto bene nei licei, piace e gemma attività connesse e successivi approfondimenti in aula, nell’ambito delle diverse discipline. Però voglio finire citando un progetto di carattere totalmente aziendale e settoriale:“Moda al futuro”, realizzato da diversi anni dalle imprese della nostra Federazione Moda in collaborazione con studenti e professori dell’indirizzo moda di una scuola di Carpi. Dopo un lungo lavoro di avvicinamento e reciproca comprensione, fra imprese e scuola, si parte dalle tessiture e dai filati, per poi arrivare dopo i vari passaggi del processo produttivo – dall’idea al design al confezionamento – alla realizzazione di un capo finito da parte di ogni studente, con tanto di sfilata finale in una “location”adeguata e premiazione finale dei (capi) vincitori: che in genere consiste nella partecipazione dei giovani studenti/stilisti a fiere di settore nazionali o internazionali.
Rispetto alle possibilità occupazionali che offre il territorio, esistono sbocchi occupazionali e professionali verso i quali c’è disinteresse da parte dei ragazzi. Hai qualche dato?
Chiunque operi professionalmente in modo serio, magari anche con spirito di servizio alla propria comunità, sa bene come vanno le cose e chi può essere interlocutore affidabile e credibile. Per noi il principio di realtà è una variabile con cui confrontarsi consapevolmente: ecco, la consapevolezza, è quello che cerchiamo di stimolare e condividere con i giovani in classe e sui media. Ma anche con le altre diverse componenti della società, come professori, amministratori locali, imprenditori e sindacati dei lavoratori, come nel nostro recente convegno a Modena, il 26 ottobre 2016, dal titolo“Giovani e lavoro: costruire le competenze a Modena e Reggio Emilia”. Faccio un esempio.Tra i profili professionali più ricercati e non trovati a Modena, diciamo tra i primi dieci, ben sei sono nell’area tecnico/scientifica: ingegneri meccanici, tecnici di produzione, disegnatori industriali, nonché progettisti software, programmatori e simili Ogni anno si diplomano, negli istituti tecnici industriali, circa 160 meccanici e ancor meno informatici; di cui una parte, accedendo all’università, non è disponibile per il mercato del lavoro. Pensiamo solo che a Modena sono attive circa 10.000 imprese manifatturiere, di cui poco meno di 4.000 solo nella meccanica, oltre a circa 1.000 imprese nel settore Ict.. L’asimmetria è evidente. Su questa incidono, tra l’altro, un orientamento scolastico spesso “disorientante” (e più simile a una sorta di marketing in entrata) e i variati stili di vita, ma anche altri fattori, troppo spesso poco considerati. Per fare il tecnico di produzione in un’azienda meccanica o il programmatore in una software house, dopotutto, non è affatto necessario essere maschi; eppure. Comunque bisogna accompagnare i giovani a riconquistarsi una idea di futuro. Senza quella non c’è forza educativa nella tradizione, né spinta ad apprendere, né forza simbolica nell’essere eredi di qualcosa che altri hanno costruito, con idee e impegno, prima di te.
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Cos’è Lapam – Lapam Confartigianato Imprese Modena – Reggio Emilia è una Associazione Imprenditoriale attiva da quasi 60 anni, con oltre 40 sedi e 600 addetti. Alla attività principale di rappresentanza e iniziativa sindacale si aggiungono, attraverso le società del gruppo, i servizi per circa 12.000 associati, appartenenti a tutti i settori economici. Presidente Generale di Lapam è Erio Luigi Munari, Segretario Generale è Carlo Alberto Rossi.
Chi è Franco Rubbiani – Nato a Modena nel 1955, residente a Modena, laureato a Bologna, ha sempre lavorato in Lapam. Entrato nel 1981 nell’Ufficio Sindacale delle Categorie, nel 1990 diventa Responsabile della formazione interna ed esterna per le aziende associate. Dal 1999 è Responsabile dell’Ufficio Studi.