Paolo Reboani è Presidente e Amministratore Delegato di Italia Lavoro dal 2010. Si è laureato in economia a Roma e specializzato in relazioni industriali a Londra. Tra il 1997 e il 2011 è stato a più riprese consigliere economico e internazionale del Ministro del Lavoro e del Ministro degli Affari Europei. Tra il 1997 e il 2001 si è occupato di politiche del lavoro presso l’Istat e l’Isae. Ha ricoperto importanti incarichi internazionali tra cui Vice Presidente del Comitato Occupazione europeo, sherpa al G8 e al G20 sulle politiche del lavoro e componente del Comitato Occupazione dell’Ocse. Attualmente è consigliere di amministrazione di Mefop, Fondazione Empaia, Fondazione Marco Biagi. È fellow dell’Istituto Bruno Leoni e socio dell’Associazione Amici di Marco Biagi.
Dr. Reboani, Italia Lavoro è un’agenzia pubblica di diretta emanazione del Ministero del lavoro. Ci spiega qual è la funzione dell’agenzia che presiede e quali le sue iniziative, soprattutto in relazione al mercato del lavoro dei giovani?
Italia Lavoro è l’agenzia tecnica del ministero del lavoro. Il suo obiettivo è promuovere azioni e interventi sperimentali nelle politiche attive del lavoro, (sono quelle politiche che facilitano la ricollocazione al lavoro) tramite la sperimentazione di azioni volte a far accedere al lavoro giovani e meno giovani. A seconda dei risultati che si possono ottenere, tali sperimentazioni possono diventare politiche di sistema. Quindi, prima sperimentiamo delle iniziative per favorire il lavoro e, se queste funzionano, le proponiamo come regole generali. Prendiamo, inoltre, anche incarichi per conto delle regioni sempre finalizzati alla gestione di politiche di promozione del lavoro. Per finanziare i nostri progetti, normalmente, utilizziamo fondi europei, oltre alla parte di risorse economiche che riceviamo per le politiche attive ogni anno e che ammontano a circa 12 milioni di euro. Italia Lavoro svolge anche un ruolo operativo nella gestione di particolari provvedimenti di politiche passive (sono quelle politiche che prevedono delle forme di sostegno al reddito nei periodi di non lavoro) del lavoro come i recenti ammortizzatori sociali in deroga. Gestiamo, in altre parole, il back office di una serie di politiche e prestazioni del Ministero del Lavoro.
Tra i vari progetti in essere, abbiamo destinato 110 milioni di euro per incentivare il ricorso al contratto di apprendistato per i giovani, e uno rivolto direttamente alle scuole per favorire un interscambio con il mondo del lavoro, di circa 70 milioni di euro, tutti finanziati con risorse europee.
Molti mestieri manuali e artigianali sembrano non interessare più le nuove generazioni, con il rischio di perdere un patrimonio di conoscenze professionali di grande valore, oltre che significative opportunità di sbocco occupazionale. Voi, in questo senso, per promuovere anche culturalmente tra i giovani il lavoro artigiano avete avviato il progetto “Bottega di Mestiere”. Di che si tratta? Quali gli obiettivi indicati e i risultati attesi?
Il progetto Botteghe dei Mestieri è proprio una delle iniziative sperimentali sulle quali abbiamo investito. Anche in un momento di crisi come quello attuale c’è un bacino di lavori e professioni che non risulta coperto. Diverse imprese, soprattutto quelle artigianali, oltre ad aziende piccole e medie e che fanno alcuni tipi di lavori, riscontrano difficoltà nel trovare sul mercato delle professionalità adeguare, non solo con qualifiche medio-basse ma anche quelle elevate. Per intenderci, non solo panificatori, pizzaioli o sarte, ma anche ricercatori. Noi abbiamo fatto una “scannerizzazione” del territorio italiano, abbiamo visto la situazione delle imprese che avevano queste esigenze, e abbiamo cercato di sviluppare un progetto, appunto le Botteghe dei Mestieri, rivolto alle professioni artigianali, che mettesse questi giovani nelle condizione di accedere a tali lavori, attraverso un tirocinio remunerato. L’incentivo economico consiste in 300 euro per l’impresa e in 500 euro per l’apprendista. Stiamo avviando anche un progetto che favorisca un incontro proficuo tra i giovani e il mondo del lavoro, a cominciare già dalle scuole e durante il percorso degli studi obbligatori.
Parliamo di politiche attive del lavoro. Italia Lavoro è uno degli strumenti operativi principali di attuazione di tali politiche per il nostro sistema di welfare. In che modo, secondo lei, dovrebbero essere potenziate le politiche attive e verso quale direzione? Servono certamente più soldi, ma se ci fossero, come dovrebbero essere spesi?
La sfida che noi ci prepariamo ad affrontare nei prossimi anni non può prescindere dal rafforzamento delle politiche attive del lavoro. Sono molte le persone che devo trovare una prima occupazione o che hanno la necessità di una ricollocazione, soprattutto in un mercato del lavoro che è diventato strutturalmente flessibile. Un rapido impiego o reimpiego di queste persone permette di alleviare il costo sociale e finanziario della non occupazione. Per far questo dobbiamo far leva su un sistema e su strumenti integrati tra pubblico e privato, che vedano insieme e in una logica sinergica sia i Centri per l’Impiego che le Agenzie per il Lavoro. Dobbiamo allinearci agli standard europei. Dovremmo progressivamente lasciare un po’ di più le politiche passive e aumentare le politiche attive. Dobbiamo potenziare le capacità dei Centri per l’impiego pubblico soprattutto per ciò che riguarda il matching tra lavoratori e imprese. Poi, far entrare nel sistema gli operatori privati con degli incentivi. Per esempio, se un Agenzia per Il Lavoro si prende in carico per 6 mesi un disoccupato e lo colloca potrebbe ottenere un contributo economico. L’incapacità di dialogo tra pubblico e privato e dall’altro una visione ideologica del mondo del lavoro per cui il privato non è visto bene perché privilegerebbe il profitto a scapito dell’interesse generale, impedisce, ad oggi, un dibattito sereno nel nostro Paese intorno a questi ipotesi.
Staffetta generazionale. In alcune regioni (Lombardia) e in alcuni rinnovi di contratti nazionali di lavoro (Chimici), si sta sperimentando la cosiddetta “staffetta generazionale”. In altre parole, un lavoratore “anziano” vicino alla pensione divide il suo lavoro (tramite un contratto part-time) con un giovane assunto attraverso un contratto di apprendistato, lo affianca per insegnargli il mestiere e lo guida verso la professione. Come sta funzionando questo strumento? E’ possibile pensare ad un utilizzo esteso della Staffetta generazionale per incentivare l’ingresso dei giovani nel mondo del lavoro?
E’ una politica sperimentale. Stiamo partendo con una dotazione a sostegno della staffetta generazionale tramite l’utilizzo, in parte, di fondi europei. L’obiettivo è favorire un’uscita non traumatica dei lavoratori anziani dai luoghi di produzione e nello stesso tempo favorire l’ingresso attraverso il contratto di apprendistato dei giovani. Da un lato, questo sistema, permette una discesa più morbida verso la pensione del lavoratore (che non perde i diritti pensionistici) e dall’altro si possono trasferire verso i giovani competenze e esperienze professionali consolidate. La speranza di tale sperimentazione è che il saldo occupazionale sia positivo: ossia, aumenti l’occupazione dei giovani e riduca il costo del personale sulle imprese. L’obiettivo è che l’azione diventi di sistema.
L’apprendistato. La recente riforma e l’intervento della legge Fornero hanno ridisegnato questo contratto di lavoro, con lo scopo di favorirne l’utilizzo (sulla carta) quale forma contrattuale privilegiata per l’inserimento dei giovani nel mercato del lavoro. Dal suo osservatorio come sta funzionando l’apprendistato, nelle sue diverse forme e quali sono le iniziative d’incentivo di Italia Lavoro?
Le valutazioni sono diverse rispetto alle tre tipologie di contratti di apprendistato oggi previsti dalla legge. L’apprendistato professionalizzante, che è il più utilizzato dalle aziende, è sicuramente molto più efficace. Lo era anche prima, ma la sua capacità di applicazione è diventata molto più forte. Permangano le criticità sul primo livello, ovvero il contratto di apprendistato che prevede una alternanza scuola-lavoro dovute ai ritardi delle regioni e alla difficoltà di costruire un sistema di alternanza scuola lavoro nel nostro Paese. Per ciò che riguarda l’apprendistato di alto livello, come quello post dottorato e nelle imprese, anche in questo caso persistono difficoltà nella sua effettiva diffusione. Non si è ancora capito, tuttavia, se è questa tipologia di apprendistato ad essere marginale, oppure se non si sono sfruttate al meglio tutte le sue potenzialità. Ci sono ovviamente dei casi di eccellenza di utilizzo dell’apprendistato in alta formazione. Lo scorso anno ne abbiamo sostenuti 30 e quest’anno già 150, ma ci vuole ancora tempo per capire la reale portate di questo contratto. Dobbiamo attentamente valutare nei prossimi mesi se le varie incentivazione fiscali, contributive e in contro capitale messe in campo, siano effettivamente incentivanti e, i caso contrario, dirottare queste risorse verso altre necessità.
Scuola, formazione e lavoro. Quali sono i principali strumenti per favorire un rapporto sempre più stretto tra scuola, università e mondo del lavoro? Quali le iniziative di Italia Lavoro avviate?
La sfida qui è di carattere differente. Noi abbiamo un sistema educativo disallineato rispetto al mercato del lavoro. Qui dobbiamo fare due sforzi. Un sistema formativo che valorizzi il capitale umano e investa nella formazione verso il made in Italy e verso produzioni ad alto valore aggiunto, come la green economy, l’ICT e i servizi alla persona. Per fare questo è necessario che già dalla scuola si entri in relazione con il mondo del lavoro. Il nostro progetto, in questo senso è, come già accennato, la Scuola Bottega, che permetterà negli ultimi due anni di scuola di attivare un periodo di esperienza lavorativa. Nello stesso tempo, la Scuola Bottega deve muoversi in parallelo alla riforma degli istituti tecnici, una riforma di carattere strutturale. I tempi di cantierabilità e di normalizzazione sono medio-lunghi e quindi è necessario intervenire subito. La consapevolezza di intraprendere questo percorso nel Paese c’è, tuttavia devo registrare un deficit d’iniziativa politica in questa direzione.
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