Lo smart working ā ovvero la modalitĆ di lavoro da remoto con flessibilitĆ di orari e luoghi lavorativi, attraverso lāausilio di dispositivi digitali che ne permettono lo svolgimento ā si sta affermando in modo sempre più consistente in diversi paesi europei. A rivelarlo sono i dati Eurostat, secondo i quali nel 2018 in media il 5,2% dei lavoratori europei ha optato per lo smart working. Anche in Italia il fenomeno sembra essere in continuo aumento, sebbene con una crescita più lenta rispetto alla media europea: secondo un recente studio condotto nellāottobre 2019 dallāOsservatorio smart working del Politecnico di Milano nel nostro paese āgli smart worker [ā¦] sono ormai 570milaā, ovvero il 3,6% dei lavoratori totali.
Nella classifica europea dei paesi più attivi nella diffusione dello smart working, lāItalia si posiziona solo tra gli ultimi posti. Tuttavia, i dati degli ultimi anni sono piuttosto incoraggianti: rispetto al 2018 infatti il 2019 ha fatto registrare ā riporta lāOsservatorio smart working del Politecnico di Milano ā una crescita del 20%. Ma la strada da fare ĆØ ancora lunga, soprattutto se in confronto a paesi come lāOlanda, la Filanda e il Lussemburgo, primi nella classifica stilata da Eurostat. LāOlanda in particolare si aggiudica la medaglia dāoro con una percentuale di smart worker pari al 14%, mentre dopo di noi solo alcuni paesi dellāEuropa dellāEst, soprattutto Romania (0,4%) e Bulgaria (0,3%).
Pochi, ma soddisfatti. Sebbene infatti i cosiddetti lavoratori agili siano in Italia solo una piccola parte, ĆØ interessante notare come āil 76% ā stando ai dati rilevati dallāOsservatorio del Politecnico di Milano ā si dice soddisfatto della sua professione, contro il 55% degli altri dipendenti; uno su tre si sente pienamente coinvolto nella realtĆ in cui opera e ne condivide valori, obiettivi e prioritĆ , contro il 21% dei colleghiā. Il nostro paese sembrerebbe dunque sulla buona strada: in fondo era solo il 2017 quando veniva approvata la Legge n. 81/2017, destinata proprio alla definizione degli smart worker, ai quali āviene garantita ā si legge sul sito del Ministero dellāInterno ā la paritĆ di trattamento – economico e normativo – rispetto ai loro colleghi che eseguono la prestazione con modalitĆ ordinarieā.
Le più innovative in questo senso sono le Pubbliche Amministrazioni:in un anno infatti sono raddoppiati āi progetti strutturati di Smart Working (passando dallā8% al 16%), il 7% delle PA ā si legge sul sito dellāOsservatorio ā ha attivato iniziative informali (lā1% del 2018), il 6% le avvierĆ nei prossimi dodici mesiā. Buoni sono anche i risultati conseguiti dalle grandi aziende,delle quali nel 2019 ben il 58% ha avviato al suo interno progetti di smart working, a fronte del 56% del 2018. Più critica ĆØ invece la situazione delle PMI, che, sebbene nel 2019 abbiano incrementato sia i progetti strutturati (dallā8% al 12%) sia quelli informali di smart working (dal 16% al 18%), presentano ancora scarso interesse per lāargomento: addirittura nellāultimo anno ĆØ aumentata la percentuale di imprese disinteressate al tema (dal 38% al 51%).
Ma non manca il rovescio della medaglia. Se infatti lo smart working nasce anche con lāobiettivo di permettere ai lavoratori una maggiore flessibilitĆ e quindi maggiore benessere, non mancano le criticitĆ . Stando ai dati dellāOsservatorio, infatti, il 54% dei manager ha segnalato delle difficoltĆ da parte degli smart worker ānel gestire le urgenze (per il 34% dei responsabili), nellāutilizzare le tecnologie (32%) e nel pianificare le attivitĆ (26%)ā. Da non sottovalutare anche il punto di vista dei lavoratori agili, tra i quali ā nonostante la percentuale di gratificazione sopra detta ā ben il 35% ha sottolineato in modo negativo la percezione di isolamento che lo smart working inevitabilmente comporta. Un dato che non può essere trascurato soprattutto nellāambito di una modalitĆ di lavoro che in primis sembra voler tenere conto del benessere e della soddisfazione dei dipendenti.