Il reddito d’emergenza è un flop o invece è solo una misura che sta stentando a decollare? Stando alle domande finora presentate – poco più di 244mila rispetto alle 850mila previste, di cui 39mila respinte – sembrerebbe quasi di sì, anche se è notizia recente che la scadenza è stata prorogata di un mese: dal 30 giugno al 31 luglio 2020. Al di là dei 30 giorni in più, quello che sembra emergere è che si tratta di una misura non così comprensibile a chi avrebbe i requisiti per richiederla.
Per capire se sia un flop o meno ne parliamo con Francesca Russiello, responsabile regionale EPAS (Ente di Patronato e Assistenza Sociale) Lombardia che chiarisce: “Non si può considerare proprio un flop, come qualsiasi cosa dia un minimo di aiuto alle persone in difficoltà. Certo è che bisogna capire come mai non ci sia stato l’assalto al REM (acronimo per reddito d’emergenza, ndr). Dal punto di vista del Governo avere fatto una previsione così ampia e vedere meno della metà delle domande presentate ovviamente lascia un interrogativo su quella che è la platea degli aventi diritto ma non solo”.
Comunicazione non chiara e requisiti forse troppo stringenti. C’è da dire che probabilmente su questa mancata “corsa” influiscono la mancanza di comunicazioni chiare in merito ai requisiti e forse anche i requisiti stessi, come precisa la Russiello: “Da noi al Patronato, i cittadini più che chiedere direttamente il reddito di emergenza, domandano a cosa hanno diritto in questo periodo di pandemia. Arrivano disorientati perché non tutti riescono a comprendere bene quello che si dice in TV, e questo non ha a che fare con eventuali problematiche linguistiche, come si potrebbe pensare. Le criticità vengono dal fatto che non ci sono state tante informazioni e quelle che ci sono non sono così chiare”. Oltre a un “difetto” di comunicazione, però, il vero nodo sarebbero i requisiti che, per una prestazione valida solo per 2 mesi in cui ogni nucleo familiare può arrivare a ottenere massimo 880 euro al mese (questo nel caso il nucleo familiare sia composto da 4 persone, tutte maggiorenni e con un disabile grave), sembrano essere parecchio stringenti. La parola ancora alla Russiello: “Innanzitutto, c’è da considerare che per il REM è richiesto un valore del patrimonio mobiliare familiare inferiore a 10mila euro con riferimento all’anno 2019”. E, anche se è vero che la soglia può essere accresciuta fino ad arrivare a un massimo di 20mila euro, “è anche vero che una richiesta simile vuol dire entrano nello specifico delle vite dei richiedenti”.
L’incompatibilità con altre misure. E sembra non aiutare neanche “l’incompatibilità tra il REM e gli altri bonus”, prosegue la responsabile dell’EPAS Lombardia “come quello di 600 euro per gli autonomi, ma anche il reddito di cittadinanza o il bonus colf e badanti. Questa incompatibilità non è giustificabile, così come si poteva pensare a mettere una soglia ISEE (indicatore della situazione economica equivalente) più alta o magari non chiedere l’ISEE com’è previsto nel caso di colf e badanti. Magari si poteva chiedere di dimostrare e autocertificare una diminuzione del lavoro. In fondo, si tratta di un provvedimento di soli 2 mesi. Ci sono persone che si vedono rifiutare la domanda perché non hanno l’ISEE in validità. E comunque, anche in tal caso, è vero che ci possono essere persone che hanno dei risparmi da parte e non devono essere colpevolizzate per questo. Un’autocertificazione, che per altro ha rilevanza penale, per chi si trova in una situazione così critica poteva essere indicata”.
Al momento a richiedere il REM sono nuclei familiari di tutti i tipi – sia single che famiglie numerose – ma “sono persone comunque che erano già svantaggiate prima e che il Coronavirus ha ulteriormente ‘affossato’. Gente che non può essere assunta da nessuna parte perché anche da questo punto di vista la situazione non è rosea o che magari non ha ottenuto altri indennizzi, famiglie con disoccupati all’interno, lavoratori in nero, persone con disabilità ecc… Il fatto che sia incompatibile con altri bonus, come dicevo, non aiuta”.
Si parla anche di diverse domande rifiutate: “Nel nostro caso, la maggior parte di quelle presentate è in istruttoria, diciamo che in generale per avere una risposta si va dalle 2 alle 3 settimane, un tempo lungo per chi si trova ovviamente in una situazione critica, ma devo dire che rispetto al passato i tempi si sono velocizzati. A ogni modo, come per tutti i provvedimenti estemporanei presi dal Governo, si tratta di una misura migliorabile. Certo è che c’è una previsione di spesa e che fino a questo momento non è stata neanche avvicinata”.