Occupazione e imprese – Quasi 1,5 milioni sono stati nel solo 2013 i beneficiari di trattamenti connessi alla perdita del lavoro ed alla disoccupazione (mobilità, disoccupazione non agricola ordinaria e speciale edile, disoccupazione non agricola con requisiti ridotti, disoccupazione agricola ordinaria, Aspi e MiniAspi). In un solo anno, tra il 2012 ed il 2013, è stato di oltre 54 mila unità il saldo negativo delle aziende con dipendenti e le posizioni lavorative sono diminuite di quasi 500 mila unità.
Le crisi aziendali – Tra le aziende che presentano la denuncia delle retribuzioni mensili corrisposte ai dipendenti, quelle che hanno richiesto ed ottenuto dall’Inps dilazioni di pagamento dei contributi previdenziali si sono triplicate dal 2008 (15 mila aziende per complessivi 547 milioni di euro) al 2013 (44 mila aziende per complessivi 1,3 miliardi di euro, valori simili a quelli registrati nel 2012).
Rapporto tra spesa pensionistica e pil – Il contributivo a ripartizione, aiuta a tenere sotto controllo il rapporto tra spesa pensionistica e PIL ed a farlo convergere in prospettiva sui valori medi dell’Europa a 27. Partendo dal 14% circa prima della crisi, il dato attuale è al 16,3, sarebbe arrivato oltre il 18% senza le recenti riforme, grazie alle quali si arriverà al 13,9 nel 2060. Tra il 2010 ed il 2060 nell’area euro il rapporto peggiora di 2 punti percentuali (di 1,5 per la UE27), mentre per l’Italia migliora di 0,9.
Rapporto tra crescita economica e rendimenti previdenziali – L’effetto di una crescita del PIL da 0,5% ad un tasso dell’1,5% comporta per un neo assunto un aumento della pensione obbligatoria del 20% circa. Una crescita dell’economia più sostenuta si tradurrebbe in rendite proporzionalmente più elevate.
Effetti della precarietà – Sul versante del mercato del lavoro può pesare molto la discontinuità dell’occupazione in assenza di adeguate tutele. Con 5 anni di disoccupazione, nei primi 10 anni del percorso lavorativo, si dovranno aggiungere due anni di lavoro in più a fine carriera per recuperare lo stesso tasso di trasformazione di una vita lavorativa continua.
Ben più pesante è la prospettiva per un lavoratore che, pur in presenza di ricorrenti periodi di precarietà nell’arco di tutta la sua carriera (per ritardi, discontinuità, periodi di disoccupazione), dovesse comunque riuscire a completare i 20 anni minimi di contribuzione per il diritto alla pensione: la conseguirebbe a 70 anni con un tasso di trasformazione che, molto probabilmente, lo collocherebbe nella fascia dei soggetti da tutelare con forme di tipo assistenziale.
Il TFR nella previdenza complementare – Ipotizzando ad esempio di destinare a forme di previdenza complementare il trattamento di fine rapporto, integrato fino ad una contribuzione del 10,5% (di cui il 3,6% a carico del lavoratore e del datore di lavoro), il tasso di trasformazione lordo equivalente, per effetto della rendita aggiuntiva, potrebbe migliorare dai 14 ai 19 punti, a fronte di rendimenti attesi lordi rispettivamente nell’ordine del 2-4%.
“Busta arancione”, i Fondi, il ruolo dell’INPS e dello Stato – Per lo sviluppo di forme di previdenza complementare il nostro Istituto è pronto a portare a compimento il processo già avviato, sotto la guida dei Ministeri del Lavoro e dell’Economia, per la definizione dei passi necessari al fine di fornire ai cittadini i supporti più adeguati per rendere praticabili decisioni consapevoli.
“Infine, con riferimento agli operatori del settore si segnala la necessità che i fondi riducano la frammentazione che li caratterizza, sia per poter contare su una massa critica che consenta una efficace gestione attiva dei sottostanti, sia per promuovere le innovazioni di prodotto necessitate dai cambiamenti del contesto (…) Resta ancora da delineare quale ruolo assegnare allo Stato nel nuovo scenario per un approccio olistico e coerente nell’ambito del welfare; cioè non solo come passaggio necessario per assemblare le informazioni e vigilare sugli operatori che operano negli ambiti previsti dal secondo e dal terzo pilastro.”
I conti migliorano nel 2014 – Per quanto riguarda più propriamente l’Inps è urgente completare l’iter di ridefinizione dalla governance coinvolgendo le Istituzioni e le parti sociali. L’Inps si appresta ad affrontare i cambiamenti nel quadro tracciato nel Rapporto Annuale che conferma:
– attivo patrimoniale pari a 21 miliardi a fine 2014;
– progressivo miglioramento dell’equilibrio gestionale (12 miliardi di euro di disavanzo economico del 2012, contro i 7,9 miliardi previsti per il 2014), nonostante la persistenza del deficit di alcune gestioni previdenziali, su tutte quelle dei dipendenti degli enti locali, che dovrebbe essere affrontato in maniera strutturale dal legislatore;
Piano industriale e assunzioni – Adottato il Piano Industriale triennale 2014-2016 il 1° aprile 2014. Programmazione di almeno 2.500 nuove assunzioni in un arco temporale di tre anni.
Le sinergie informatiche – L’Inps è pronto per mettere a disposizione le proprie competenze distintive in campo informatico ed il suo patrimonio informativo, attraverso la creazione e la gestione di una Piattaforma Nazionale del Welfare, in cui l’Istituto funga da provider che fornisce a tutti gli attori della filiera (Amministrazioni centrali, Regioni, Comuni, Parti sociali, Centri per l’impiego, ecc.) piattaforme e servizi in ottica di sussidiarietà.
L’INPS genera valore – Il sistema di controllo di gestione consente di misurare ed integrare tra loro le varie grandezze – economiche, quantitative e qualitative – collegate alla produzione e che concorrono alla formazione dei risultati di esercizio dell’Istituto.
Il sistema sviluppato consente di apprezzare il miglioramento della gestione sotto tre diversi aspetti: quello dell’efficienza, cioè dell’ottimizzazione dell’impiego delle risorse, quello dell’efficacia, cioè della crescita del livello qualitativo dei servizi resi all’utenza e quello economico finanziario, espresso in termini di contribuzione al bilancio dell’Istituto. Quest’ultimo aspetto rappresenta il valore generato dalle attività intraprese su iniziativa dell’Istituto e finalizzate all’accertamento dei contributi, che determinano maggiori entrate, e di controllo e recupero delle prestazioni, che determinano minori uscite.
L’insieme di queste grandezze, i cui esiti dipendono dall’intensità dell’azione amministrativa esercitata, misura il valore economico finanziario della produzione che contribuisce al miglioramento del bilancio. Nel 2013 questo valore, al netto dei costi, è stato di 13,4 miliardi di euro, pari al 2,6% del risultato di bilancio dell’Istituto.