Ci sono parole inglesi che, anche se le traduci in italiano, non rendono del tutto l’idea. Una di queste è mismatch che potremmo definire “disallineamento”, ma che sicuramente rende più se resta nella sua lingua d’origine. Anche se la situazione che riesce a condensare è sicuramente delle più preoccupanti.
Nonostante la crisi generata dal Covid, infatti, nel mercato del lavoro del Belpaese continua a verificarsi un mancato allineamento tra domanda e offerta di lavoro. Sì, la disoccupazione è alta e allo stesso tempo rimane la difficoltà di riempire dei posti di lavoro vacanti, da cui dipendono la qualità e la sostenibilità della ripresa stessa.
La ricerca di Randstad Research. A fotografare una situazione di cui forse non ci si rende tanto conto – visto che ci si concentra sempre di più solo su una parte del problema – è il nuovo rapporto curato da Randstad Research e presentato martedì 16 febbraio in diretta su Zoom.
Quello che emerge è che, dal 2004 al 2019, il “mismatch” tra domanda e offerta di lavoro, cioè la mancata corrispondenza tra i requisiti richiesti dalle aziende e le competenze/qualifiche offerte dai lavoratori è andato peggiorando.
Un divario sempre più profondo e complesso. Basti pensare che in in 15 anni il tasso di disoccupazione è passato dal 6% ad oltre il 10% e, paradossalmente, sono aumentate le difficoltà di reperimento a livelli record, in un divario tra domanda ed offerta di lavoro sempre più profondo e complesso. Nel periodo, si contano 140.000 contabili e 145.000 muratori occupati in meno, 144.000 magazzinieri e 77.000 camerieri in più, sono aumentate, ma solo in una certa misura, alcune professioni chiave, come specialisti in marketing (+92.000), analisti software (+86.000) e medici (+30.000), ma non si è risolta quella che appare la ragione principale della mancata corrispondenza.
La carenza nella preparazione tecnico-scientifica e nell’istruzione di base è infatti al primo posto tra i diversi ostacoli che si frappongono nell’assumere figure professionali specifiche, come evidenziato dalle imprese. Ecco perché diventa urgente potenziare la formazione e aumentare il tasso di attività di giovani e donne per un mercato del lavoro più efficiente. A fine 2019, rileva il Randstad Research, la cosiddetta “Curva di Beveridge” (che rappresenta il rapporto tra posti vacanti e disoccupazione) ha mostrato il punto minimo dell’efficienza del mercato del lavoro italiano.
Nel 2020 dell’emergenza Covid, il mismatch sembrerebbe essersi ridotto, ma non per una rinnovata efficienza, quanto per l’effetto combinato del blocco dei licenziamenti e dell’aumento degli inattivi, con minori posti vacanti per il ridimensionamento delle attività dei datori di lavoro. Uno scenario che evidenzia il rischio di frenare la ripresa post-Covid, se un rialzo della disoccupazione a seguito dello sblocco dei licenziamenti dovesse essere accompagnato da un aumento dei posti di lavoro vacanti.
“Il matching non è un fatto negativo o positivo in sé”, ha spiegato Daniele Fano, coordinatore del comitato scientifico del Randstad Research, “può essere negativo quando la situazione si incaglia, quando un’economia è innovativa e cambia, i problemi di matching indicano una forza di cambiamento. E noi italiani stiamo in mezzo. Non ci sono situazione facili,ma dobbiamo affrontare queste situazioni con coraggio ed empatia. Dobbiamo imparare”, chiosa Fano “dai Paesi che hanno fatto meglio di noi a uscire dalla morsa di bassa crescita, bassa produttività, bassa occupazione che ha attanagliato l’Italia negli ultimi decenni. In questo senso, i piani di rilancio europei 2021-27, possono rappresentare un “Piano Marshall” per il lavoro: la sfida italiana per il matching tra domanda e offerta si vince con un radicale miglioramento dell’istruzione e della formazione, con l’aumento del tasso di partecipazione al lavoro delle donne, dei giovani e di tutti i cittadini in età adulta”.
Ma quali sono i pasti vacanti e in realtà da cosa è determinato il disallineamento? Diciamo che c’è una forte variabilità. Durante la crisi economica 2008- 2009 c’è stato un calo del tasso dei posti di lavoro non coperti in tutti i settori, ma la riduzione più forte è stata nei servizi dell’informazione e comunicazione (-0,55), nelle attività finanziarie e assicurative (-0,53) e nelle attività professionali, scientifiche e tecniche (-0.98).
Nel 2014-2015 invece sono cresciuti soprattutto i posti vacanti dei servizi di informazione e comunicazione (+0,50) e nel 2016-2017 i servizi di alloggio e ristorazione (+0,8). Nei 15 anni emerge in particolare una crescita dei posti vacanti nei servizi di informazione e comunicazione (+1,05) e nell’istruzione (+0,70), un evidente calo si registra nel commercio all’ingrosso e al dettaglio, nella riparazione di autoveicoli e motocicli (-0,25) e nelle attività finanziarie e assicurative (-0,33).
Confrontando la variazione tendenziale del PIL e la variazione del tasso dei posti vacanti per tre settori economici (servizi di alloggio e ristorazione, servizi di informazione e comunicazione ed attività finanziarie e assicurative), si nota che almeno graficamente la variazione del tasso dei posti vacanti anticipi una diminuzione o un aumento del PIL.
Andando, poi, nel dettaglio delle professioni, quelle a maggior contenuto scientifico mostrano una crescita nella domanda di lavoro, ma potrebbero soffrire di un limite nell’offerta, mentre altre si muovono in un contesto più dinamico, in cui aumentano contemporaneamente domanda e offerta.
Le professioni più difficili da reperire. Da un’elaborazione Randstad Research su dati Excelsior, le 5 professioni più difficili da reperire sono gli specialisti di saldatura elettrica e a norme ASME, gli analisti e progettisti di software, i saldatori e tagliatori a fiamma, i tecnici programmatori e tecnici meccanici. Ma se si guardano gli introvabili sulla base del numero assoluto di assunzioni previste emergono altre figure come camerieri, cuochi, conduttori di mezzi pesanti e camion, commessi, tecnici della vendita e della distribuzione, a conferma del fatto che e le valutazioni sul mismatch cambiano a seconda della vista.
Un problema di formazione, dunque? Stando a quanto detto da Irene Tinagli, presidente della Commissione Problemi Economici e Monetari Parlamento Europeo “bisognerebbe andare a fondo sul sistema formativo e bisognerebbe “saper unire un coordinamento di più ampio respiro con una organizzazione locale, anche perché i mercati del lavoro hanno una dimensione territoriale che deve essere tenuta in considerazione e bisogna lavorare a vari livelli perché ci possono essere delle capacità di matching diverse. E dobbiamo intervenire per quello che c’è”.
Sul tema un’indagine realizzata dal Randstad Research nell’autunno del 2020 su un campione di circa 1000 aziende italiane ha indicato nella sotto qualificazione tecnico-scientifica di gran lunga il fattore principale nel mismatch di competenze con i propri lavoratori, evidenziato dal 57,8% dei datori di lavoro. La difficoltà di reperimento si fa sentire in modo forte soprattutto su ICT, trasporti e logistica, servizi alle imprese, multiutility, costruzione e industria. Per circa il 45% delle aziende, il problema del mismatch si incontra anche in fase di selezione.
Se il problema principale resta la preparazione, lo shock del Covid-19 e la discontinuità nell’istruzione potrebbero produrre una nuova generazione di Neet, in un contesto demografico di progressivo invecchiamento della popolazione. Solo aumentando il tasso di attività di giovani (e donne) potremo avere una “Curva di Beveridge” più efficiente. Infatti, il prolungamento della vita lavorativa è in atto, mentre proseguono il calo della natalità e la diminuzione della popolazione.
Secondo le elaborazioni Randstad Research su dati Istat, il rapporto tra over 65 e popolazione in età lavorativa, che era del 20,3% nel 1980, è pari al 36,2% nel 2020 e di questo passo salirà al 44% nel 2030 e al 62,8% nel 2050. L’incidenza degli attuali 3,1 milioni di Neet corrisponde all’8,65% della popolazione lavorativa nel 2030, il 9,6% nel 2040, superando il 10% nel 2050. Nella scuola dell’obbligo si prevede un milione di studenti in meno nel giro di dieci anni: meno giovani, meno esigenze di insegnanti e aule per la scuola dell’obbligo, dovranno essere convertite verso l’istruzione superiore e la formazione continua in cui siamo carenti.