Immigrazione e lavoro. Alla radice dei flussi di migrazione verso l’Italia e l’Europa c’è proprio il bisogno di lavoro per centinano di migliaia di donne e uomini provenienti da Paesi poveri e disgraziati. Per fare in modo che l’immigrazione incontro il lavoro è necessario governare il fenomeno nel rispetto delle legalità. In sintesi, immigrazione e lavoro sin incontrano nella legalità. Fuori dalla regole ci sono i “barconi della morte” gestiti dalla criminalità organizzata. Ne parliamo con Monsignor Giancarlo Perego, presidente della Fondazione Migrantes, l’organismo pastorale che segue i fenomeni migrazione collegato alla CEI.
La spinta principale che porta molte donne e uomini a lasciare i loro paesi d’origine e venire in Italia e in Europa è quella economica e del lavoro. La regolamentazione del mercato del lavoro diventa centrale per una gestione non traumatica della pressante domanda di lavoro immigrato. Quali dovrebbero essere i punti prevalenti di una migliore gestione dei flussi migratori in relazione allo sbocco occupazionale? Cosa cambierebbe della Bossi-Fini?
La debolezza essenziale della legge Bossi Fini è la difficoltà di far incontrare domanda e offerta di lavoro. Questa difficoltà ha creato in questi anni migliaia di irregolari, con crescita di insicurezza sul lavoro, aumento del lavoro nero, perdita di contributi per lo Stato, creando poi la necessità continua di sanatorie. Un permesso di soggiorno per ricerca di lavoro farebbe incontrare domanda e offerta, creerebbe regolarità di presenza da subito.
La storia della gestione dei flussi d’ingresso di cittadini immigrati in Italia possiamo dire che ha avuto una doppia fase. Quella iniziale in cui molti lavoratori immigrati hanno coperto lavori e impieghi che non erano più ricoperti dalla disponibilità interna, e poi una seconda fase, quella che stiamo vivendo oggi, in cui la crisi ha colpito, com’era ovvio, anche i cittadini immigrati in Italia: si calcolano circa 400 mila immigrati disoccupati. Il lavoro in Italia sembra esaurito e di conseguenza la priorità adesso sembra spostata a garantire gli immigrati presenti piuttosto che accoglierne altri. In che modo superare questa “contraddizione”? Siamo solo un Paese di transito ormai?
E’ fuori dubbio che la crisi ha quasi fermato, soprattutto in Spagna e in Italia, l’immigrazione, che era esplosa negli anni precedenti. 528.000 permessi di soggiorni scaduti in Spagna e 650.000 in Italia nel 2013 lo stanno a dire. Solo in alcuni comparti – penso all’agricoltura e ai servizi – cresce la domanda occupazionale di immigrati, che però purtroppo è gestita più nella irregolarità. Forse una riflessione in questo senso andrebbe fatta. L’immigrazione oggi cresce soprattutto dal di dentro del nostro Paese: con 80.000 nascite ogni anno da genitori immigrati e con 80.000 ricongiungimenti familiari.
Gli sbarchi di Lampedusa culminati nella immane tragedia dell’ottobre 2013, mostrano una via di accesso illegale e gestita prevalentemente da organizzazioni criminali senza scapoli, che non accenna a diminuire. Anzi. Anche con l’operazione Mare Nostrum la situazione non è cambiata di molto. Quale dovrebbe essere la risposta dello Stato italiano rispetto l’accesso clandestino via mare?
Sbarchi e naufragi si sono susseguiti in questi ultimi quattro anni portando sulle coste di Lampedusa e della Sicilia oltre 160.000 persone. Il Mediterraneo è una strada delle migrazioni del Sud verso l’Europa che va presidiata per accompagnare le persone, spesso anche in fuga da guerre e dittature (è il caso della Siria e della Somalia ed Eritrea). In questo senso Mare Nostrum è una straordinaria operazione di pace e di sicurezza nel Mediterraneo che andrebbe non solo salvaguardata, ma rafforzata, con il contributo dell’Europa.
Cosa fare verso i paesi di provenienza? In altre parole, è possibile affrontare la questione dell’immigrazione attraverso interventi, politiche e progetti che risalgono direttamente all’origine e quindi concentrati soprattutto nei Paesi d’origine? Se si, in che modo?
Certo l’operazione Mare nostrum va accompagnata con il sostegno agli Stati del Nord africa oggi destabilizzati e in cammino verso un processo nuovo di democrazia dopo le primavere arabe e con una azione internazionale condivisa per la pace in Medio Oriente e per la fina di dittature nel Corno d’Africa. Lo sviluppo dei popoli più poveri è il vero motore per accompagnare e fermare le massiccie migrazioni e per tutelare il diritto di ogni persona di vivere nella propria terra.
L’Europa. Noi siamo la porta verso l’Europa per migliaia di immigrati. Tuttavia la risposta europea sembra molto simile a quella di Ponzio Pilato. La norma europea che stabilisce che il Paese di prima accoglienza debba farsi carico dell’immigrato lascia quasi tutti gli oneri della gestioni all’Italia. In che modo possiamo superare questo vincolo?
E’ fuori dubbio che l’Italia è una porta d’ingresso oggi fondamentale per i popoli del Sud Sahara, dell’Egitto e il Medio Oriente, del Corno d’Africa, ma non è la sola. Al tempo stesso, non dobbiamo dimenticare che delle 160.000 persone sbarcate in questi anni solo 35.000 si sono fermate in Italia. Non dobbiamo dimenticare che l’Italia nel prossimo settennio europeo riceverà oltre 500 milioni di euro per le politiche e azioni migratorie, il secondo contributo più alto tra i 28 paesi europei. Non possiamo anche dimenticare che Paesi come la Germania hanno dieci volte il numero dei rifugiati in Italia. E’ fuori dubbio che tutte le nazioni d’Europa devono porre al centro della loro politica – come abbiamo scritto a tutti i candidati europei in una lettera – il tema di ‘Guardare all’Europa a partire dalle migrazioni’. L’Italia sarà più credibile in questa richiesta se darà un esempio di programmazione e organizzazione nell’accoglienza dei flussi migratori di rifugiati diversamente a come, al di là della straordinaria risposta del volontariato, ha fatto fino ad oggi.