La Corte di Cassazione con la recente sentenza n. 2803 dello scorso 12 febbraio 2015, dovendo valutare la legittimità di un licenziamento disciplinare, ha avuto modo di affrontare ed interpretare la peculiare disciplina dei permessi retribuiti per il decesso o grave infermità di un familiare o per altri gravi motivi prevista dal combinato disposto dell’art. 4 della L. n. 53/2000 e dell’art. 2 del Decreto Ministeriale di attuazione n. 278 del 21 luglio 2000.
In particolare, il caso di specie riguardava un lavoratore licenziato all’esito di un procedimento disciplinare in ragione di ripetute assenze non autorizzate dal servizio. Avverso il recesso datoriale, il lavoratore proponeva ricorso al Tribunale di Napoli, sostenendone l’illegittimità e giustificando le proprie assenze in ragione dell’asserita fruizione di giornate di permesso ai sensi della sopra richiamata disciplina, eccependo la sussistenza del lutto di un proprio familiare.
Più specificamente, il lavoratore sosteneva di essersi assentato in virtù di congedi per gravi motivi, per la cui fruizione la relativa disciplina impone unicamente una comunicazione al datore di lavoro, lasciando, invece, a quest’ultimo l’onere di esprimersi entro le successive 24 ore, motivando l’eventuale diniego con eccezionali ragioni organizzative. All’esito del giudizio di primo grado, il Tribunale rigettava il ricorso, affermando la legittimità del licenziamento del lavoratore, non ritenendo nel caso di specie sussistenti i motivi (in particolare, il decesso di un familiare) che avrebbero consentito la fruizione dei permessi invocati dal lavoratore mediante la semplice comunicazione al datore, bensì necessitando di apposita autorizzazione da parte di quest’ultimo.
A seguito dell’impugnazione della sentenza di primo grado, anche la Corte d’Appello negava la sussistenza nel caso in esame dell’ipotesi del decesso del familiare, confermando, perciò, la sentenza di primo grado, sul presupposto della ritenuta inapplicabilità della sopra descritta procedura di fruizione dei permessi invocata dal ricorrente a giustificazione delle reiterate assenze contestate. In ultima istanza la Corte di Cassazione, chiamata a pronunciarsi a seguito del ricorso del lavoratore, confermava la decisione del collegio territoriale.
In particolare, la Suprema Corte rilevava che, pur sussistendo un diritto del lavoratore alla fruizione dei permessi, previo il solo rispetto della procedura informativa al datore, “ciò non toglie, tuttavia, che il suo esercizio legittimo possa essere sottoposto dal diritto oggettivo ad un procedimento necessario alla verifica, anche da parte del soggetto passivo, degli elementi costitutivi”.
Sulla base di tali premesse, la Corte giungeva, pertanto, a concludere che “nel caso di specie, tanto la norma di legge quanto quella di regolamento prevedevano (…) la realizzabilità immediata del diritto al congedo solo nel caso di decesso del familiare o del convincente, salva la prova o la verifica successiva degli elementi costitutivi”, mentre “negli altri casi il lavoratore non poteva assentarsi dall’azienda senza che il datore fosse posto in condizione di controllare l’effettiva sussistenza delle giustificazioni e formulare la sua proposta di differimento del congedo o di fruizione parziale”.
Del resto, come rilevato dalla Corte all’esito del proprio percorso motivazionale, “la fruizione dei congedi rimessa al mero arbitrio del lavoratore impedirebbe l’esercizio del potere, spettante al datore di lavoro, di direzione e di organizzazione dell’impresa, con evidente compromissione del principio costituzionale di “libertà economica” sancito dall’art. 41 della Costituzione. In definita, con la sentenza in commento la Corte ha ribadito, da un lato, l’essenzialità dell’elemento fiduciario nel rapporto di lavoro e, dall’altro, la preminenza dei poteri datoriali direttivi ed organizzativi, i quali, seppur dovendosi contemperare con le esigenze del lavoratore, non possono essere compressi sino alla loro eliminazione.