Non si spengono mai le luci delle aule della Casa del Sole di Milano. Per i suoi corridoi anche di sabato corrono e giocano oltre trecento bambini. Ma cosa si fa in una scuola nei giorni festivi? Xuexi hanyu, si studia il cinese.
A Milano la zona di via Padova è per molti un ghetto, una casbah, una banlieu. Ma non per una buona parte dei milanesi, che invece sta cercando di riqualificare questi quattro chilometri di via, appena a cinque minuti d’auto dal quadrilatero della moda. È il viale più multietnico della città: oltre cinquanta nazionalità diverse convivono spalla a spalla. L’epicentro di questo fermento è il Parco Trotter con la sua scuola, La Casa del Sole. Nata un secolo fa come colonia estiva, un po’ malconcia e bistrattata, è il cuore pulsante di questa Babele. Proprio qui, è cominciata la sfida di Caterina Faragò.
Portare il mandarino a Milano – “La nostra scuola si chiama Milan Huaqiao Zhongwen Xuexiao, ed è stata la prima scuola di cinese a Milano, dopo quella del consolato”, spiega con una punta di orgoglio. Caterina, calabrese trapiantata a Milano trent’anni fa, a oggi conosce una sola tratta aerea: Milano-Pechino, Pechino-Milano. È mediatrice culturale, arbitro internazionale di tennis da tavolo, parla mandarino e diversi dialetti cinesi. Insomma, come dice lei, le mancano solo gli occhi a mandorla.
Lavorando nelle scuole come mediatrice si è resa conto che i bambini cinesi emigrati a Milano non la capivano: parlavano vari dialetti territoriali e non la lingua ufficiale, il putonghua, il mandarino. “In Cina ci sono ben 750 dialetti codificati – racconta –. Io sono andata a visitare le scuole dello Wenzhou, la provincia da dove provengono la maggior parte delle famiglie cinesi di Milano, ma con alcuni insegnanti facevo fatica anch’io a parlare”.
Famiglie italiane contro famiglie cinesi – Così Caterina ha chiesto il permesso di affittare per il weekend le aule della scuola del Parco Trotter. “Le famiglie cinesi sanno bene cosa siano i sacrifici, e vogliono trasmettere ai figli questo senso del dovere: per loro quindi non è un problema mandare i bambini a scuola anche nei giorni festivi”, sottolinea la sinologa.
Oggi ai suoi corsi sono iscritti oltre 300 alunni: hanno dai cinque ai quindici anni e sono suddivisi in dodici classi. Complice l’import ed export dalla Cina, è infatti necessario che la quarta generazione cinese a Milano impari la lingua madre, anche per aiutare i genitori con il commercio internazionale.
I primi successi della scuola italo-cinese – Ed è qui che la sfida di Caterina raccoglie i primi frutti: ogni anno a giugno i suoi alunni svolgono l’Hsk, il test che stabilisce il grado di conoscenza della lingua cinese. Qualche giorno fa sono arrivati i risultati da Pechino: come mostra fiera, alcuni dei suoi alunni hanno superato il sesto grado, il più alto.
Le regole della scuola gestita da Caterina sono semplici: lavoro, tenacia e nessun alibi. Sì perché qui non si ripetono solo mnemonicamente e ad alta voce gli ideogrammi del putonghua. Il corpo docenti ha organizzato un piano di studi degno di “una vera scuola cinese”.
Può capitare allora di assistere a una lezione d’immigrazione cinese, di musica, d’arti marziali o anche una lezione di morale. Shi Yang, 35 anni di origine pechinese, insegna ai bambini dai cinque ai sette anni. Sono al pinyin, il livello più basso. “Cosa bisogna fare se la mamma arriva a casa con le borse della spesa?”, domanda alla classe. Alzano tutti la mano, perché conoscono a memoria la risposta: “La mamma è stanca, quindi sistemiamo noi per lei la spesa”.
Anche piccoli italiani tra i banchi – L’idea di Caterina piace e convince non solo le famiglie straniere. Quest’anno, infatti, per la prima volta quindici bambini italiani si sono iscritti alla Casa del Sole. Le risposte che danno i genitori ‘lungimiranti’, come li definisce Caterina, mentre aspettano che i loro figli italiani, futuri sinologi, escano da scuola, sembrano fare il verso ai teoremi che ogni giorno espongono economisti e sociologi occidentali, per spiegare la supremazia del vecchio Dragone. Gli studenti cinesi studiano di più, con maggior concentrazione e per più ore rispetto ai nostri bambini. E ancora: l’economia cinese cresce di oltre il 10% l’anno, ed è a oggi la seconda dietro gli Stati Uniti.
La ricetta dei genitori per il successo dei loro figli è difficile da contestare: vogliono che i bambini crescano bilingue al 100%. Arriva Edoardo, otto anni, alle prime armi con la nuova lingua: “Il mio compagno di banco alle scuole elementari è cinese e lui viene sempre qui il sabato. Volevo provare anch’io e ho chiesto a mia mamma d’iscrivermi”. Ha poco tempo per parlare, ma ha molta voglia di raccontare alla madre che a mensa hanno mangiato il riso con le bacchette.
Per saperne di più – Ora anche altre scuole hanno intercettato il desiderio, spesso definito solo una moda, d’imparare il cinese e si stanno organizzando. Dopo cento anni, per esempio, il liceo classico Berchet di Milano ha deciso lo scorso anno di accompagnare alle declinazioni latine la fonetica di Pechino. Da Seneca a Confucio? “Ci si avvicina alla cultura cinese – conclude Caterina – perché non è la lingua del futuro, ma è la lingua del presente”.