Con la conversione in legge del decreto recante le principali misure e gli interventi più urgenti in materia di lavoro e del decreto denominato “Del Fare” (D.L. 28 giugno 2013, n. 76, convertito in L. 9 agosto 2013, n. 99 e, marginalmente per la parte che qui interessa, D.L. 21 giugno 2013, n. 69, convertito con modificazioni in L. 9 agosto 2013, n. 98) il Governo ha compiuto il primo passo del proprio programma per il rilancio dell’occupazione, soprattutto giovanile. Tuttavia, viene da chiedersi se le misure previste dal decreto costituiscano davvero un mezzo per incentivare l’effettivo inserimento al lavoro dei giovani.
Se, infatti, il contratto di apprendistato costituisce da tempo, almeno nelle intenzioni del Governo, il principale veicolo per il raggiungimento di tale obiettivo, viene da chiedersi quale ruolo viene riservato ai tirocini formativi e alle collaborazioni a progetto che, come sappiamo sono state per molti anni uno strumento di prima occupazione. Tirocini formativi e contratto di collaborazione a progetto che, proprio per l’uso che ne è stato fatto negli ultimi dieci anni, sono stati ampiamente rivisti dalla Riforma del 2012 (Legge Fornero) e ora subiscono ulteriori “aggiustamenti”.
In particolare, proprio con riferimento ai tirocini formativi, dopo la sottoscrizione a gennaio di quest’anno delle Linee Guida in materia di tirocini extracurriculari aventi l’obiettivo di dettare un quadro di riferimento unitario per l’esercizio della potestà legislativa da parte delle singole Regioni, riaffidando loro il fondamentale ruolo di raccordo tra formazione e lavoro, il legislatore nazionale non poteva intervenire se non attraverso lo stanziamento di risorse e di fondi destinati sia ai tirocini curriculari sia, sia a quelli extracurriculari. L’obiettivo, ossia la “Garanzia Giovani”, di matrice europea, si inserisce nel quadro degli interventi finalizzati a migliorare l’alternanza scuola/lavoro e, pertanto, a migliore anche il funzionamento del mercato del lavoro (da più di un decennio punto dolente delle nostre politiche occupazionali, come più volte attestato anche dall’ISFOL) intervenendo sull’inattività postscolastica e, quindi, in via preventiva e strutturale sulla disoccupazione giovanile.
Progetto ambizioso che, pur scontrandosi con vincoli burocratici e di bilancio pone nuovamente all’attenzione generale una serie di misure di sostegno caratterizzate da un preciso stanziamento di risorse. Vediamo quali. Tra le misure approvate dal Governo in materia di tirocini formativi spiccano, ancorché in modo disomogeneo, perché sparse in diverse disposizioni:
a) La costituzione, presso il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo del “Fondo mille giovani per la cultura” destinato alla promozione di tirocini formativi e di orientamento nei settori delle attività e dei servizi per la cultura per i giovani fino ai 29 anni di età (art. 2, comma 5bis D.L. n. 76/2013);
b) Il sostegno alle attività di tirocinio curriculare promosse dalle Università, attraverso stanziamento di fondi destinati all’attivazione di progetti di stage della durata di tre mesi presso soggetti pubblici e privati ed a favore di studenti che siano in possesso di specifici requisiti utili per l’ingresso in graduatorie formate dalle Università stesse in base ai seguenti criteri i) regolarità del percorso di studio; ii) votazione media degli esami; iii) condizioni economiche (art. 2, comma 10 e segg. D.L. n. 76/2013);
c) La previsione dell’erogazione di specifiche borse di tirocinio formativo (entro i limiti previsti dalla normativa statale e regionale) a favore di giovani di età compresa tra i 18 e i 29 anni che non lavorano, non studiano e non partecipano ad alcuna attività di formazione, residenti e/o domiciliati nelle Regioni del Mezzogiorno (art. 3, comma 1, lett. c) D.L. n. 76/2013).
Le risorse economiche stanziate, che ammontano ad alcuni milioni di euro, seppure esigue nell’ammontare che potrebbe essere erogato individualmente (200/300 Euro mensili o poco più) appaiono nel merito di una certa rilevanza, se viste dal punto di vista del sostegno verso progetti aventi, prioritariamente, la funzione di un primo vero “sguardo” anche di natura tecnico-pratica al mondo lavoro. E se viste, soprattutto, come vera e propria occasione di orientamento in campi specifici (quale quello dei beni culturali) o nei progetti che saranno promossi dalle Università, aiutando enti promotori e soggetti ospitanti a riaffermare il vero ruolo del tirocinio, ossia non quello di una forma più attenuata di rapporto di lavoro ma quello di un mezzo per assicurare auspicabilmente un più stretto legame tra formazione e lavoro.
Da questo punto di vista significativa è anche la previsione di cui all’art. 73 del D.L. n. 69/2013 il quale prevede stage formativi (che, tuttavia non danno diritto in questo caso ad alcun compenso) presso gli uffici giudiziari (Corti di appello, Tribunali ordinari, Uffici e tribunali di sorveglianza e Tribunali per i minorenni, ma anche presso gli organi di Giustizia Amministrativa) e per la durata massima di 18 mesi, a favore dei laureati in giurisprudenza che abbiano riportato una media di almeno 27/30 negli esami di diritto costituzionale, diritto privato, diritto processuale civile, diritto commerciale, diritto penale, diritto processuale penale, diritto del lavoro e diritto amministrativo, ovvero un punteggio di laurea non inferiore a 105/110 e che non abbiano compiuto i trenta anni di età.
Sul versante del lavoro a progetto, i correttivi previsti dal Governo se da un lato possono essere visti come un ampliamento delle possibilità di ricorso a tale tipologia contrattuale, dall’altro pongono maggiori vincoli di natura formale e amministrativa.
a) Con riferimento alle ipotesi in cui la legge consente il ricorso al contratto a progetto (art. 61, comma 1 D:Lgs. N. 276/2003: “il progetto non può comportare lo svolgimento di compiti meramente esecutivi o ripetitivi), viene infatti riformulata la locuzione stabilendo ora che “il progetto non può comportare lo svolgimento di compiti meramente esecutivi e ripetitivi”. Ciò significa che il ricorso al lavoro a progetto sarà possibile, sempre se supportato da adeguato progetto – che deve trovare espressione con atto scritto ai sensi dell’art. 62 D.Lgs. n. 276/2003 – ed in vista del raggiungimento di un risultato, anche con riferimento ad attività connotate da una certa semplicità, purché tali attività non siano da qualificare, insieme, sia esecutive che ripetitive, ossia mera attuazione di elementari prestazioni eseguite da parte del collaboratore senza autonomia e su semplice indicazione del committente.
b) Si prevede poi che, se oggetto del contratto sia un’attività di ricerca scientifica e questa venga ampliata con riguardo a tematiche connesse oppure sia prorogata nel tempo, il progetto possa proseguire automaticamente. Tale previsione riveste una grande utilità pratica in tutti i casi in cui sia necessario poter valutare tra le parti, alla scadenza originariamente concordata, la prosecuzione del rapporto di collaborazione a progetto proprio tenendo conto delle eventuali complessità tecniche di realizzazione del progetto.
c) Infine viene estesa anche ai lavoratori e alle lavoratrici con contratto di collaborazione coordinata e continuativa, anche a progetto di cui all’art. 61, comma 1 D.Lgs. n. 276/2003, la tutela introdotta dall’art. 4, commi da 16 a 23, della legge n. 92 del 2012 in materia di contrasto del fenomeno delle cosiddette “dimissioni in bianco”. Ciò significa che il recesso volontario dal rapporto di lavoro da parte del collaboratore resta privo di effetto se il Committente non provvede ad effettuare la convalida dello stesso mediante la sottoscrizione della ricevuta di trasmissione della comunicazione di cessazione del rapporto di lavoro, ovvero mediante invito formulato dal Committente al collaboratore – nel termine di 30 giorni dalla ricezione della comunicazione del recesso da parte del collaboratore – a voler sottoscrivere il modulo di convalida presso la Direzione Territoriale del Lavoro oppure il Centro per l’impiego territorialmente competenti (decorsi sette giorni dall’invito senza che il collaboratore abbia provveduto a formalizzare la convalida o a revocare il recesso, il rapporto si intende comunque risolto).
In merito alle novità qui segnalate si veda anche quanto precisato dalla recente circolare del Ministero del lavoro n. 35/2013.
Avv. Paola Salazar