DaD o non DaD: questo è il problema. Forse parafrasando l’Amleto di Shakespeare riusciamo a sintetizzare tutte le discussioni di questi giorni sulla didattica a distanza. O, se vogliamo essere più aggiornati, DDI come precisato dal Miur, vale a dire didattica digitale integrata. Alla luce delle proteste degli studenti che vogliono ritornare in classe e della dichiarazione del ministro Lucia Azzolina per cui la DaD vale sì, ma solo per un periodo limitato, considerando poi che in quattro regioni dal 18 gennaio si torna tra i banchi, noi di Kong News abbiamo deciso di capire a che punto siamo con la scuola. Oltre a capire come la vedono gli stessi docenti e facendo riferimento a delle ricerche sui pro e contro della DaD.
Alla luce delle proteste degli studenti di questi giorni che vogliono ritornare in classe e la dichiarazione del ministro Lucia Azzolina per cui la DaD vale sì, ma solo per un periodo limitato, noi di Kong News abbiamo deciso di capire a che punto siamo e come la vedono gli stessi docenti considerando anche degli studi in merito.
Lo studio sugli effetti psicologici della DaD. L’ultimo, in ordine cronologico, arriverebbe proprio dal Ministero dell’Istruzione anche se i dati non sono ancora stati resi noti. In merito la settimana scorsa è uscito un servizio da parte dell’Espresso in cui si riporta che il Consiglio nazionale dell’ordine degli Psicologi ha svolto e sta ancora svolgendo per conto del Miur un’indagine per capire quali siano gli effetti psicologici della DaD.
“I dati ci svelano che fra i ragazzi costretti a casa c’è un senso diffuso di stress, nervosismo, irritabilità, depressione”, spiega David Lazzari, presidente del Consiglio degli psicologi all’Espresso precisando che “la pandemia ha scatenato disagi che velocemente si trasformano in disturbi” e conclude con il monito di non usare la DaD con leggerezza.
La questione non riguarda solo i ragazzi, ma anche i docenti. Nello studio condotto dalla SIRD, Società Italiana di Ricerca Didattica, da aprile a giugno del 2020 e pubblicato nel novembre 2020, su più di 16mila docenti di scuole di ogni ordine e grado in tutta Italia, sono emersi, oltre a diversi aspetti positivi, anche delle criticità. Tra queste: l’aumento dei tempi di lavoro e la differenza nella valutazione degli studenti, ma anche problemi tecnici e le stesse modalità in cui la DaD ha configurato i nuovi ambienti di apprendimento. Così come la relazione con i genitori non è stata così serena.
I docenti hanno poi evidenziato come ci siano state forme inadeguate di contatto con gli studenti, ridotta autonomia di essi (in particolare per i più giovani), difficoltà a percepire il fatto che stessero davvero partecipando, riorganizzazione dei programmi, difficoltà tecniche e fattori di disturbo nelle case degli allievi. Sembra, invece, che il clima di emergenza abbia stimolato la solidarietà con i colleghi e con la dirigenza.
Cosa ne pensano i professori: la DaD è un compromesso e un surrogato. Anche se per tutti i professori non è stato davvero così: “Con la DaD perdi la relazione con i tuoi colleghi, ti manca lo stimolo umano fondamentale perché tutti prendiamo spunto dal contatto che, anche a causa della mole di lavoro, non c’è stato”. A parlare è Giuseppe Cuttone, insegnante di 46 anni di italiano e storia all’istituto tecnico di Luino, Varese. Sì, uno di quei docenti che, essendo la Lombardia tra le regioni più colpite dall’emergenza Covid, non entra in classe da un bel po’ visto che insegna alle superiori.
In DaD da ottobre e il tempo per la didattica si è ridotto. Più esattamente “siamo in DaD dal 18 ottobre con alcune classi e con altre dal 23 anche se per un periodo abbiamo alternato lezioni in presenza e a distanza il che per noi insegnanti è nocivo. Ma d’altra parte, la stessa DaD è una soluzione che è un compromesso e un surrogato nello stesso tempo. Questo perché ti manca la relazione umana, lo sguardo e soprattutto l’esperienza diretta della quotidianità con la classe, intesa come gruppo di alunni sì, ma anche come spazio fisico in cui ci incontra. Sappiamo bene che in questo momento la DaD è l’unica soluzione specie per chi si sposta in modo ingente con i mezzi pubblici”, precisa Cuttone, “ma dobbiamo considerare che il tempo per la didattica si è ridotto: tra il prendere la linea, il convocare i ragazzi ecc c’è molto meno tempo. In molti poi si collegano in ritardo e alcuni si nascondono dietro problematiche come il fatto di non avere la linea o il manifestare la paura di non farsi vedere anche se lo chiedi espressamente”.
Gli adolescenti, ci fa notare l’insegnante, sembrano degli Instagram addicted, ma invece spesso hanno una certa ritrosia che può dipendere anche dall’ambiente in cui si collegano. “Non vogliono magari far vedere la casa, ma dico loro ‘Se vedeste dove sono io’, spesso sono collegato e lo stendino è accanto, faccio comunque in modo che non sia visibile”.
Da non trascurare poi la dispersione scolastica che sembra essere aumentata con la DaD. “Bisogna pensare che la maggiorparte dei ragazzi fino ai 16 anni frequenta per via dell’obbligo scolastico, almeno per quanto riguarda la nostra provincia particolarmente vicina alla Svizzera quindi non ha una motivazione molto forte e la DaD non la certo crescere”.
Professori e presidi avrebbero potuto sfruttare al meglio l’occasione. É tutto da buttare nella Dad per Cuttone? “No, riconosco che potrebbe esserci utile come ‘corollario’, ossia qualora si tornerà in presenza come un supporto. E credo anche che noi professori avremmo potuto sfruttare al meglio questa occasione. Non solo noi, anche gli stessi presidi che secondo me sono molto impauriti perché temono ci siano situazioni che possano sfociare nel penale. Ovviamente senza dimenticare i ragazzi: in molti hanno perso la voglia di incontrare gli amici, la scuola è un elemento aggregante da non sottovalutare, anche se i ragazzi ne sanno una più del diavolo e in qualche modo si riprendono”.
Isolamento sociale e iperattività continua. Anche Rosario Nucifora, 40 anni, insegnante di italiano in una scuola media dell’alto varesotto non è del tutto favorevole alla DaD, specie per i ragazzi più piccoli: “Per loro venire alla cattedra, avere un prof che gira tra i banchi è fondamentale: in prima media noi professori siamo il surrogato dei genitori, in terza siamo coloro che danno sicurezza quando cominciano a cambiare. Inoltre, il danno da isolamento sociale c’è, anche se dipende dal contesto. Nella realtà piccola in cui lavoro, i ragazzi continuavano a vedersi lo stesso, anche quando eravamo in DaD (noi siamo stati poche settimane) mentre influisce maggiormente l’eccesso di dispositivi virtuali. Con i ragazzi abbiamo parlato tanto anche insieme alla psicologa: ci hanno detto di affaticarsi, di non riuscire a dormire bene di passare tante ore al pc/cellulare. Un’iperattività continua fino a tarda sera. Anche adesso che siamo in classe, i miei allievi hanno una sorta di repulsione verso il computer”.
Ci sono problemi anche nella metabolizzazione dei contenuti.“Nel caso di una classe in particolare ho notato che he erano più bravini con la DaD si deconcentravano con estrema facilità e erano molto più “svagati”, continua Nucifora che però evidenzia anche i lati positivi.
Sicurezza e possibilità di sperimentare grazie alla DaD. “A noi professori la DaD permette di lavorare sperimentando qualcosa di nuovo, specie nella scuola media molto più tradizionalista. Certo è che noi docenti non abbiamo avuto una formazione adeguata: siamo stati in didattica a distanza durante il primo lockdown e il primo corso sull’utilizzo di G-suite è arrivato a settembre. Certo, ho ‘studiato’ leggendo articoli, cercando spunti all’interno dei gruppi Facebook, ma in molti si sono ritrovati spiazzati”.
Il docente non dimentica poi il fattore sicurezza visto che è addetto nella sua scuola: “C’è stato un momento in cui ci siamo detti ‘Speriamo che si vada in DaD: c’erano ammalati, persone in quarantena, d’altra parte la Lombardia non a caso torna a essere zona rossa. Inoltre, vista la mancanza di provvedimenti e misure chiari ed efficace e data la situazione, forse sarebbe stato meglio restare in DaD”.
Il progetto Idee per la scuola: raccontare le storie belle di didattica a distanza. E sui lati positivi della DaD o meglio sulle storie di professori che si sono ingegnati per rendere le loro lezioni diverse, usando strumenti e altre iniziative, vi segnaliamo il progetto Idee per la scuola, creato da professionisti (tra cui chi vi scrive) che, pro bono, hanno deciso di creare un sito Internet più relativi canali social per raccontare la didattica a distanza. Per creare, cioè, un luogo dove le belle iniziative restassero, ma fossero anche di ispirazione tra docenti che si trovano in ogni parte d’Italia.
Come ci spiega Cristina Simone: “Vogliamo contribuire a cambiare la narrazione sulla DaD visto che ogni giorni siamo invasi dal contenuto online e le alternative sono due: dedicare il proprio tempo a seguire una polemica oppure a leggere un’idea creativa. Crediamo che la condivisione di best practise possa offrire più stimoli, ecco perché cerchiamo e raccontiamo gli esempi virtuosi di cui la scuola italiana è piena. Si può insegnare l’italiano creando un blog nel quale far scrivere gli alunni come ha fatto il professore Francesco Uccello a San Giorgio a Cremano (Napoli) o insegnare la fisica creando un videogioco come ha fatto il professore Enea Montoli a Milano”. Tutti docenti che, come precisa la Simone, dimostrano che non esistono un unico modo di insegnare “ma che se sei un prof lo sei sia in classe che in DaD”.
“Mi sono messa in discussione e ho fatto l’alunna”. Questa considerazione, peraltro, viene da una formatrice di professione a persone di varia età: “Io stessa a marzo dopo la mia prima lezione online mi sono detta ‘Così non funziona, devo cambiare tutto’. Allora ho letto articoli italiani e stranieri, seguito webinar per modificare la mia formazione e adattarla all’online. Mi sono messa in discussione e ho fatto anche l’alunna seguendo diversi corsi online, per prendere ispirazione e trovare nuove idee. E quando mi annoiavo, riflettevo sul perché e cosa mi stesse mancando. È fondamentale fare l’esperienza dell’alunno. Dobbiamo entrare nell’ottica che chi entra nella lezione vuole essere un partecipante attivo e non un ascoltatore passivo. Personalmente uso molto la chat: i partecipanti si sentono considerati e coinvolti”.
E se pensate che sia una caratteristica tipica solo di chi fa formazione fuori dalla scuola, anche il professor Nucifora per esempio ci parlava della flipped classroom, ossia della classe capovolta, metodologia per cui la lezione diventa compito a casa e il tempo in classe, virtuale o reale, viene impiegato per esperienze, dibattiti e laboratori con i professori che fanno da facilitatori. Che non è ovviamente l’unica via “ma può essere presa in considerazione, specie a distanza”, chiosa il docente.
Senza entrare troppo nel merito, forse potremmo dire che se la DaD in alcune regioni diventa necessaria, va anche compresa da alunni e professori e non “calata dall’alto” ricordando che è cosa completamente diversa dalle lezioni in presenze, cui a nostro avviso non bisognerebbe mai rinunciare.