Giovanni Pagotto è il fondatore e presidente dell’Arredo Plast SpA di Ormelle, in provincia di Treviso, un gruppo che fattura 230 milioni l’anno, in forte ascesa, ed uno dei maggiori fornitori di prodotti in plastica per l’Ikea che vende l’85% dei suoi prodotti all’estero. E’ sorto agli onori delle cronache per aver sollevato un polverone con le sue parole sui giovani italiani, rei, secondo l’imprenditore, di non aver voglia di lavorare.
Il Corriere delle Sera ha riportato le sue parole: “Assumo ma trovo solo stranieri. Perché? Gli italiani non hanno fame. I nostri ragazzi non accettano i tre turni. Ho investito bene, ma oggi non lo rifarei in Italia”.
Pagotto, inoltre, lamenta la scarsa adattabilità e la poca disponibilità a sporcarsi le mani dei giovani italiani. Ricorda l’epiteto usato dall’ex Ministro Fornero quando ha usato l’aggettivo “choosy”, ossia schizzinosi, verso una parte dei giovani del Bel Paese. “Uno che viene al colloquio di lavoro accompagnato dalla mamma, l’altro che, al telefono, ti risponde che è interessato ma non prima di tre mesi perché sta studiando per la patente. Ma si può?”.
Il patron dell’Arredo Plast sembra davvero sconsolato e colpito da quanto riportato. I dati confermano la denuncia. Il 90% dei dipendenti del reparto produzione è straniero, compresi i capiturno, e lavorano sui tre turni. Cosa non molto popolare tra i giovani locali. Eppure le condizioni di lavoro e la paga sembrano buone.
“Gli italiani non hanno fame. – rincara Pagotto – A 16 anni andavo in bicicletta da Ormelle a Conegliano per lavorare alla Zanussi, a 27 ero responsabile di mille operai. Prova a dirgli a questi qua che una volta al mese devono lavorare il sabato o la domenica. Capisco che fare i turni è un sacrificio ma le macchina qui non possono fermarsi”.
Insomma, la produzione e il lavoro sono salvi grazie agli stranieri immigrati che sembrano aver più voglia di lavorare e minore difficoltà ad accettare qualche sacrificio.
A questo punto, dando per buona la denuncia di Pagotto, la domanda che ci assale è una sola: si tratta di un caso isolato oppure davvero i giovani italiani sono diventati “choosy”?